«Amerai il prossimo tuo come te stesso»
(Mt 22,39)
Questa frase del vangelo di Matteo non è da intendersi solamente come un comandamento, ma come una precisa legge psicologica secondo la quale possiamo amare l’altro nella misura in cui amiamo noi stessi, nulla di più, nulla di meno.
La quantità e la qualità dell’amore che emaniamo verso l’esterno trova origine all’interno del nostro cuore, e a nulla servono gli sforzi di aderire quanto più possibile a un dato modello comportamentale se non a scimmiottare qualcosa che in realtà non ci appartiene ancora a livello profondo.L’altro svolge l’importantissima funzione di mostrarci esattamente in che misura abbiamo imparato ad amare noi stessi e di conseguenza gli altri, in un gioco di incastri perfetto, all’interno del quale ciascuno sperimenta la possibilità di entrare in contatto con i propri blocchi, con le proprie ferite e guarirle.
Fin quando non sappiamo chi siamo, fin quando non ci è chiaro che la fonte zampillante di ogni grazia risiede all’interno di noi, saremo costretti a mendicare all’esterno ogni tipo di appagamento emotivo ed affettivo, in un turbinio di relazioni che sfocia spesso nella dipendenza, nelle aspettative deluse, nella richiesta più o meno esplicita di vedere i propri bisogni e i propri desideri realizzati attraverso l’uso esclusivo dell’altro.
Sembra quasi uno scenario apocalittico, ma il più delle volte è esattamente così che si espleta questo “gioco”, che nei casi più estremi arriva persino a sfociare nella violenza e nell’omicidio laddove le proprie richieste egoiche non vengano soddisfatte.
Tutte le ferite, tutte le esperienze dolorose non servono ad altro che ad indirizzare la nostra attenzione verso l’interno, a rendere la nostra attitudine nei confronti della vita intro-versa, recuperando la nostra innata regalità, la nostra naturale capacità di generare amore senza cercarlo in qualche posto là fuori.
Potremmo paragonare l’intero processo ad un viaggio.
All’inizio ci troviamo all’interno della nostra casa, e da lì procediamo verso l’esterno… poi, dopo tutta una serie di peripezie nelle quali sperimentiamo la solitudine e la lontananza dal nucleo, facciamo ritorno al nostro focolare, per accorgerci che il tesoro che abbiamo a lungo cercato era sempre stato lì, a meno di un palmo da noi.
Il lungo e tortuoso cammino nell’illusione di chi non siamo non è però fine a se stesso, anzi tutt’altro.
Nel corso di quest’avventura infatti, impariamo l’uso corretto degli strumenti più disparati, affiniamo le nostre capacità, apprendiamo il discernimento, ed infine approdiamo al riconoscimento di quelle particolari qualità che ci appartengono fin dalla nascita e che costituiscono le peculiarità esclusive della nostra anima, quel quid che appartiene a noi e soltanto a noi, e che non può essere espresso nello stesso identico modo da nessun altro.
Si tratta di una nota, di un suono musicale che una volta riconosciuto e manifestato è unico nel suo genere, ed insieme ad altri suoni particolarmente affini può dar vita ad una melodia senza eguali.
Uno dei principali scopi dell’esistenza umana è trovare questo suono ed esprimerlo, allineandosi così al proprio progetto d’amore.
Tutta l’esperienza umana non è altro che questo, un’educazione all’amore.
Riporto uno scritto di Paola Ferraro che descrive meravigliosamente questo processo al quale tutti, ciascuno con i propri modi e con i propri tempi, siamo chiamati:
“Educare deriva da educere, che significa ‘Tirare fuori’ ciò che già c’è.
Saper vedere e riconoscere l’Unicità che abita la persona senza volerla correggere o riadattare, nella piena fiducia del Progetto in cui siamo immersi.
Ecco che qualsiasi tipo di ‘educazione’ parte da noi, e da quanto sappiamo ascoltare,
riconoscere e valorizzare il Codice originario che abbiamo scritto dentro,
e che diventa richiamo alla nostra realizzazione.
Quel Codice è fatto d’Amore,
è manifestazione del Creato che ha un progetto ben preciso per ognuno di noi.
Nella quotidianità che ‘fa rumore’ e che accelera i ritmi coprendo il nostro ‘battito’, concederci lo spazio e il tempo per ricontattarlo, sentirlo, riconoscerlo, è vitale.”
Non c’è amore più grande di quello che nascendo da sé, basta a sé stesso e diviene nutrimento anziché dispendio d’energie.
Roberto Senesi
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