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Difetti dei bambini deboli e forti … e anche degli uomini

Marzo 10, 2019

Se si osservano attentamente alcuni bambini se ne possono trovare forti, lottatori , “arietini” che vincono gli ostacoli del mondo e se trovano altri deboli, passivi, che soccombono al mondo.

Questi bambini, se non trattati, sono i prototipi degli adulti che diventeranno.

Non é detto che i forti siano propriamente sani, spesso seguendo ciò che desiderano sconfinano in quello, che oggi viene definito propriamente, o no, “bullismo” – su cui non ci si intende soffermare ora.

Ció che interessa é dare un consiglio disinteressato, alle madri e a chi tratta questi “umani cosi’ poco felici”.

Il consiglio, da ascoltare attentamente, ha sicuramente più di cento anni, e lo ritroviamo nelle parole di una Donna fuori dall’ordinario:

“Quale consiglio possiamo dare alle madri? Di fornire ai loro bambini lavori e occupazioni interessanti, di non aiutarli senza necessità e di non interromperli quando essi hanno iniziato un lavoro intelligente. Dolcezza, severità, medicine non aiutano: i bimbi soffrono di fame mentale. Se uno ha fame di cibo, non lo chiamiamo stupido né lo picchiamo, né facciamo appello al sentimento: non servirebbe a nulla, egli ha bisogno di mangiare. Anche in questo caso, né durezza, né dolcezza risolveranno il problema. L’uomo é una creatura intellettuale, e ha bisogno di cibo mentale quasi più che di pane. A differenza degli animali, egli deve costruirsi il suo comportamento. Se il bambino viene avviato su una strada che gli permetterà di costruire la sua condotta e la sua vita, tutto andrà bene: spariranno i malesseri, spariranno gli incubi, la digestione diventerá normale e sparirá la ghiottoneria. Egli diventerà normale perché la sua psiche sarà normale. Questo non é un problema di educazione morale, ma di sviluppo del carattere. La mancanza di carattere, i difetti del carattere spariscono senza bisogno di prediche o di esempi da parte dell’adulto. Né minacce, né lusinghe saranno necessarie, ma solo condizioni normali di vita.”

Maria  Montessori

Solo cosí avremo uomini piú coraggiosi, donne più rispettate e una societá meno frustrata e meno invidiosa.

D.S.

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ESSERE selvaggiamente VIVI

Dicembre 19, 2018

… Non ci sono piú i giusti,

la terra è abbandonata ai malfattori.

A chi parleró oggi?

Al male che colpisce la terra non c’è fine …

 

Sembrano parole di catastrofe.

Queste sono parole o meglio parole che derivano da geroglifici scritti da un poeta africano nel 2000 a.C. circa e che si interroga su valori di giustizia, ricchezza e di bene.

Parla di uomini che schiacciano altri uomini.

Piú tardi, nel 500 a.C. circa, un poeta del popolo ebraico:

Guai a quelli che promulgano decreti

Ingiusti e maligni

E nel redigerli mettono per iscritto

Le leggi dell’oppressione:

per privare i deboli della giustizia

e derubare del diritto i poveri.

 

L’oppressione puó rendere stolto un sapiente.

Tempo prezioso, prezioso tempo. Quanto la digitalizzazione ci sta facendo non vivere? Quanto il nostro tempo è dedito al monitor? Perché non possiamo di nuovo essere vivi? Stare nell’essere.

Continuare a scorrere velocemente miliardi di concetti rapidi meno di un secondo ci porta ad avere alla fine una mente, ma soprattutto uno spirito completamente vuoto, ad essere svuotati delle nostre emozioni.

Sono stati fatti studi approfonditi su questo. La perdita di empatia per via dell’aumentare dei social.

“L’analfabetismo delle emozioni è inseparabile dall’analfabetismo dei pensieri, e ogni analfabetismo passa attraverso l’incapacitá di leggere le parole che cercano di dire il mondo e noi nel mondo: vivere immersi come ipnotizzati nella nube social-narcisa, dove la capacitá di lettura di se stessi e del mondo si degrada, evita le situazioni in cui il narcisismo viene sanamente messo in crisi, e genera difficoltá  a gestire i sentimenti e le passioni con i loro complessi passaggi intermedi. Cosí l’amore, proprio quando la sua ombra spettacolare prospera nella caverna della chiacchierata totalitaria, va incontro al naufragio: perché ogni amore è basato sulla corrispondenza tra due esseri diversi che, nel loro incontrarsi, devono affrontare allo stesso tempo fusione e distruzione, unione e separazione, felicitá e tristezza, per arrendersi alla veritá che non nella ricchezza dell’abbondanza, ma nella povertá del bisogno vive il bimbo divino.”

Un testo, vademecum, molto molto illuminante che ci ricorda “che solo il lettore selvaggio, disposto a lasciarsi cambiare dai libri che incontra, è pronto a nascere e ad amare di nuovo lasciando andare la prigionia del digitale per poter guadagnare in tutta la propria vita se stesso”.

Un vivido inno al lettore, a colui che legge e che non si prende in giro, con finte mancanze di tempo.

La scuola della buona noia vuole produrre analfabeti funzionali che credono in un pensiero unico, in una sola realtá: contro i nemici dell’emozione e dell’intelligenza i lettori selvaggi pensano molte realtá diverse , e leggono poesia, scienza, arte, diritto, sogno. Nessun nemico è onnipotente se smettiamo di essere suoi complici.”

“Allora presto, beviamo e mangiamo con tutti i sensi la bellezza e la veritá che ci sono in Platone, Mozart, Leopardi, Van Gogh, Einstein, Bob Dylan, o saremo grassi di bugie come oche da sgozzare nelle cucine del futuro: i lettori selvaggi sanno che nessuno si salva da solo, che il tempo per salvarsi non c’è mai stato, che il tempo per salvarsi è ora.”

Perché leggere un libro in metropolitana quando tutti hanno la faccia sbattuta sullo schermo? Perché pensare è faticoso, meglio guardare un qualcosa che scorre veloce e che mi fa uscire da me stesso. Oppure meglio chattare. L’autore, con tutto il consenso, si domanda dove siamo arrivati, a che malattia siamo.

“Il tempo che serve non è il tempo dell’orologio, ma il tempo in cui sento che nei libri si parla proprio di me. Non quel me stesso fissato nelle sue sciocchezze, quell’essere abitudinario che conosco troppo bene senza capirlo per niente, no, non lui, ma il me stesso che ignoro ancora, che a volte mi appare in sogno e che in certe sere scopro leggendo.”

Per scampare alla noia abbiamo bisogno dell’amore.

Amare vuol dire entrare ed uscire da una realtá completamente diversa dalla nostra, senza sapere l’arrivo, la meta, come in una esplorazione. Lo stesso è per la lettura.

Non puo’ essere né troppo veloce, perché leverebbe il desiderio e non lascerebbe la corrispondenza tra noi e l’altro, né troppo lento perché ci porterebbe a perdere le speranze.

 Il lettore leggendo lascia un po’ di se stesso per far spazio al protagonista.

Solo questa storia basterebbe a capire quando è e deve essere importante per noi staccarci dalle macchine e tenere con loro unicamente un sano rapporto:

“… E  Socrate comincia a raccontare la storia di un teknikotate, un esperto di tecniche, inventore del calcolo e della geometria e abile nel costruire strumenti per potenziare l’intelligenza. Il tecnoscienziato antico si chiama Theuth, e spiega al re Thamus di aver inventato un “farmaco” per la conoscenza e la memoria: <<Questa conoscenza renderá gli egiziani piú capaci di conoscere e piú capaci di ricordare, perché è stata inventata come farmaco per la conoscenza e la memoria>> dice Theuth, al che Thamus replica: <<O Theuth, supremo esperto in tecnologie, una cosa è la capacitá di pensare e concretizzare una tecnica, un’altra cosa è giudicare il danno e il vantaggio  che quella tecnica potrá portare a chi ne fará uso. Ora tu, che ne sei l’inventore, hai detto, per attaccamento alla tua invenzione, il contrario di ció che quella tecnica del conoscere e del ricordare è in grado di fare. In realtá quella tecnica produrrá dimenticanza nelle menti di quanti la impareranno, perché costoro non eserciteranno piú la memoria …>>.”

Stiamo dando potere alle cose per toglierlo ai nostri cervelli. Leggere il profondo dei libri, delle anime, delle menti, delle persone, dei paesaggi, del cosmo e si anche delle cose, sará la unica salvezza.

Tratto dal libro di Giuseppe Montesano “Come diventare vivi”

D.S.

 

 

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La verità: ripulire il ripetersi delle dinamiche nel DNA familiare

Settembre 11, 2018

Vi é una una famiglia nella nostra storia, molto potente ed ammirata, che ha avuto tutto, ma non la pace spirituale, la famiglia Agnelli.

Come è possibile che una famiglia talmente potente dal punto di vista politico, economico e sociale, quale quella degli Agnelli sia divenuta protagonista di cosí tanti piccoli e enormi drammi. Il potere puó tutto, forse… No, quale tipo di potere puó tutto?

La radice del sincero potere sta nella pulizia del cuore e dell’anima. Una dimostrazione concreta di tale affermazione é questa famiglia, ma ce ne sono tante e tante altre con simil sorte.

Si parla  di “sindrome degli antenati”, una teoria della dott.sa Anne Ancelin Schützenberger, secondo cui in maniera inconscia e non volontaria si trasmettono gli eventi irrisolti di generazione in generazione.

Il dramma che lega i membri della famiglia che prendiamo ad esempio, ha una origine a noi nota, (ma potrebbe essere molto piú antica) con Edoardo Agnelli, padre di Clara, Gianni, Umberto, Susanna, Maria Sole, Giorgio e Cristiana. Edoardo, figlio del fondatore della FIAT, Giovanni, è un uomo brillante e affabile, che non riuscirà mai a guidare l’impresa di famiglia, tenuto in pugno dall’autoritario senatore. Edoardo sposa Virginia Bourbon del Monte, erede dei principi di San Faustino e marchesi di Santa Maria, di origine napoletana. Entrambi muoiono in circostanze tragiche: Edoardo all’età di 43 anni, nel 1935, decapitato dall’elica dell’idrovolante del padre in un’incidente aereo. Virginia rimarrà uccisa in un’incidente automobilistico nel 1945, in un frontale con un mezzo dell’esercito americano.

Anche il Senatore Gianni Agnelli, nonno del noto Gianni, fondatore della FIAT, dopo la guerra ha avuto l’enorme dispiacere di vedersi tolto della possibilitá di restare a capo dell’azienda da lui stesso creata per vicissitudini politiche e, al suo funerale, non è stato neanche concesso ai parenti di poter far passare la sua tomba al Lingotto per un ultimo saluto.

Virginia stessa, madre di Gianni Agnelli, donna eccentrica non ha potuto crescere in pace i propri figli perché perseguitata da Gianni Senior, che voleva levarle la potestá sui figli, in quanto ella, a seguito della morte di Gianni, ha intrapreso una relazione con Curzio Malaparte, noto scrittore dell’epoca. Virginia ha dovuto ricorrere a Mussolini per poter riavere con sé i propri figli.

Oltre ad incidenti tragici, la storia della famiglia è stata segnata anche da malattie fisiche e psicologiche improvvise e spesso non preannunciate, che ne hanno ucciso i rampolli. Il fratello dell’Avvocato, Giorgio, è morto a 35 anni, dopo un lungo ricovero in Svizzera. Secondo la compagna, Marta Vio, non ha mai sopportato il fratello maggiore, e i genitori, scomparsi quando i figli erano ancora molto giovani, non hanno mai potuto mediare questo rapporto. Proprio questa conflittualità, unita al peso di appartenere ad una famiglia dalle alte aspettative, sembra abbia accentuato i suoi disturbi mentali.

Giorgio, affetto da schizofrenia, ha avuto vari episodi di violenza contro il fratello Gianni. Secondo la moglie, Giorgio si è suicidato gettandosi dall’ultimo piano della clinica, ma la sorella Maria Sole sostiene che sia stato il fisico debilitato dalle medicine e dalla malattia mentale ad uccidere il fratello.

Edoardo Agnelli, unico figlio maschio dell’Avvocato, è una delle figure più amate della famiglia. Carattere controverso e fascino da “poeta maledetto”, Edoardo, ribelle, insofferente al capitalismo e alla materialismo. Colto e viaggiatore, approfondisce le filosofie orientali e si avvicina al sufismo islamico. Edoardo è un filosofo, un pensatore fine con un profondo interesse per le religioni, e i tentativi della famiglia di inserirlo nella dirigenza delle società Agnelli si rivelarono ben presto fallimentari.

A seguito di problemi con la droga, viene arrestato in Kenya e accusato di spaccio di stupefacenti a Roma. Spacciato su ogni testata giornalistica, dubbi sulla veridicitá di quanto accaduto appaiono su questi episodi, in quanto la piú importante famiglia di Italia era solita riuscire a “bloccare” le notizie definibili scomode.

La sua morte, nel 2000, all’età di 46 anni, ha avuto un forte impatto mediatico. Il suo corpo è stato ritrovato in fondo ad un cavalcavia dell’autostrada Torino-Savona, nella zona di Fossano. Forti le teorie complottiste che negano il suicidio, causa ufficiale del decesso.

Si pensa che lo stesso sia stato indotto al suicidio o sia stato ucciso. Un membro musulmano a capo della Fiat o comunque erede, con di mezzo i finanziamenti forti di una potentissima banca, non poteva essere tollerato.

Giovanni Alberto Agnelli sarebbe stato l’erede designato della famiglia. Figlio di Umberto e di Antonella Bechi Piaggio, dimostra di possedere le doti imprenditoriali necessarie per guidare sia la FIAT che la Piaggio. Dopo gli studi negli Stati Uniti, lavora sotto lo pseudonimo di “Giovannino” Rossi allo stabilimento FIAT di Grugliasco, insieme agli altri operai. Si arruola poi come carabiniere paracadutista. Molto amato dai torinesi, tra i quali era conosciuto proprio con il soprannome Giovannino, viene scelto dallo zio Gianni per guidare l’azienda.

Un fulmineo cancro all’addome lo uccide dopo 9 mesi di lotta con la malattia. A nulla servono le cure più all’avanguardia e la famiglia, disperata, si rivolge anche ad alternative meno scientifiche. Muore a 33 anni, nel 1997, appena 3 mesi dopo aver avuto la primogenita, Virginia Asya, dalla moglie Frances Avery Howe. I funerali si sono svolti in modo molto rapido, secondo le cronache dell’epoca, alla presenza dei parenti più stretti.

La “maledizione” non ha risparmiato nemmeno il ramo americano della famiglia. Clara Agnelli, primogenita di casa Agnelli, e Tassilo von Fürstenberg, suo primo marito, hanno avuto tre figli diventati molto famosi in vari ambiti: Ira, Egon e Sebastian. Proprio Egon, stilista, muore all’età di 58 anni per quella che viene ufficialmente definito un tumore al fegato, 15 giorni dopo lo zio Umberto Agnelli. La prima moglie, la celebre Diane von Fürstenberg, racconta nella sua autobiografia che in realtà è stato stroncato dalla cirrosi epatica, dopo essere stato malato di Epatite C per decenni.

Il figlio di Ira non subirà un destino migliore. Christoph di Hohenhole-Langenburd, soprannominato Kiko, finisce in prigione in Thailandia per aver alterato la data del suo passaporto scaduto. Forse scambiato per un trafficante di droga, viene arrestato dalla polizia e rinchiuso nel carcere di Klong Prem, uno dei più disumani del Paese, in cella insieme ad altri 40 detenuti. A nulla sono valse le visite della madre, che ha tentato di tirarlo fuori di lì in tutti i modi.

Muore pochi giorni dopo, per quello che l’autopsia svoltasi in Thailandia ha identificato come coma diabetico. Christoph aveva passato quella vacanza in una Spa dove aveva fatto una cura dimagrante, e aveva il fisico molto indebolito, ma ci sono forti sospetti che la morte sia stata causata dagli abusi subiti in carcere. Non c’è stato modo di verificarlo, dato che le autorità thailandesi hanno impedito di portare la salma all’estero senza inumazione.

Gli Agnelli sono una delle famiglia più influenti non sono in Italia, ma nel mondo. La nuova generazione è riuscita a realizzare il sogno di Gianni: l’internazionalizzazione della FIAT. Il loro percorso è stato caratterizzato da molti successi e da tante tragedie. La loro storia è racchiusa nel cimitero di Villar Perosa, che si trova poco lontano dal “Castello“, la villa degli Agnelli, che in questo comune alle pendici delle Alpi piemontesi hanno i loro natali.

Nel mausoleo di famiglia sono seppelliti tutti gli Agnelli. Lì ha trovato la pace Giovannino, sepolto vicino al padre e ai fratelli, i gemelli vissuti solo pochi giorni. In quella cappella si è consumato il dolore dell’Avvocato per il figlio Edoardo. La sua lapide si trova tra Umberto e Giorgio, gli zii, e di fronte a quella del padre Gianni Agnelli. In quel mausoleo c’è la storia di una grande famiglia, che ha cambiato il volto all’Italia.

 

“Secondo la teoria degli antenati, le persone proseguono in vita la catena delle generazioni precedenti, pagando un pegno al passato e, fintanto che non si è “cancellato il debito”, una “alleanza invisibile” spinge a ripetere, che se ne sia coscienti o meno, l’evento o gli eventi traumatici, le morti, le ingiustizie e persino le loro eco.”

Spesso accade, infatti che genitori abusati abusino, che figli abbandonati abbandonino a loro volta e figli di genitori traditori tradiscano, o, spesso che figli di morti per cause accidentali trascorrano una vita all’insegna del pericolo.

La studiosa Schützenberger ritiene che “siamo in fondo meno liberi di quanto crediamo”. Possiamo, tuttavia, riconquistare la libertà, percependo i sottili legami che ci tengono ancorati al passato, per poi lasciarli andare. Afferrando questi fili nella loro complessità, potremo così vivere la nostra vita e non quella, dei nostri genitori, nonni o di un fratello morto, che rimpiazziamo, consapevolmente o a nostra insaputa, nella “catena” del nostro albero genealogico.

Quantele famiglie  che si sfasciano per un’eredità o per un lutto?

Lí sicuramente ognuno di noi, riflettendo sul proprio albero genealogico, può “sentire”, “percepire”, “visualizzare”, una qualche disarmonia. Quello è certo un punto su cui portare attenzione.

Anne Ancelin Schützenberger (Mosca, 29 marzo 1919 – Parigi, 23 marzo 2018) è stata una psicologa francese, professoressa emerita all’Università di Nizza, dove ha diretto per oltre vent’anni il laboratorio di psicologia sociale e clinica. È stata altresì cofondatrice dell’Associazione Internazionale di Psicoterapia di Gruppo. La sua esperienza è nota a livello internazionale, soprattutto nell’ambito della psicoterapia di gruppo e dello psicodramma. Ai suoi studi si deve lo sviluppo della tecnica del ‘genosociogramma’: albero genealogico che tiene conto, oltre che dei legami di parentela esistenti, anche del ripetersi di particolari traumi psichici e fisici di generazione in generazione. Il suo lavoro è essenzialmente mirato alla psico-genealogia, alla comunicazione non verbale e ai legami familiari.

Il suo libro “La sindrome degli Antenati”, best-seller in Francia con ben 15 ristampe, rappresenta uno dei testi fondamentali della cosiddetta “psicologia trans generazionale”, una disciplina che si propone di curare malattie fisiche e mentali attraverso lo studio delle storie familiari.

La Schützenberger ha cominciato a notare ricorrenze nelle dinamiche familiari dei suoi pazienti, e indagando, ha scoperto che spesso ci sono vincoli comportamentali che possono essere ricondotti a ciò che è accaduto in vita agli avi. Ricorrenze, situazioni compensative apparentemente inspiegabili, avvenimenti che accadono in coincidenza con certi anniversari, possono essere ricondotti all’esperienza di un antenato che è incorso in una fatalità, gravando così su tutta la catena dei discendenti.

È nostra responsabilità, se vogliamo “svuotare lo zaino dal peso degli antenati”, farci carico di sciogliere questi condizionamenti che influenzando l’inconscio collettivo, lasciando tracce nella memoria delle nostre famiglie.

La storia degli Agnelli è pubblica, spesso è facile risalire alle storie dei nostri avi, a volte invece il nostro albero genealogico contiene delle sfaccettature più complesse. Le trappole, le insidie nascoste nel nostro albero sono spesso rappresentate dal “non sapere” chi siano i nostri avi. Quando non si hanno notizie certe circa l’identità di chi ci ha preceduto, la comprensione risulta più difficile, tuttavia, anche in questi casi c’è un modo per fare chiarezza.

 In ogni caso uno dei concetti primari per la rinascita è quello della ‘lealtà familiare’. Ognuno di noi, inconsciamente, è portato a interiorizzare lo spirito, le domande, le aspettative della propria gense a utilizzare le proprie attitudini per conformarsi alle ingiunzioni interne o interiorizzate. “Se non ci si assume questi obblighi, ci si sente colpevoli”, ha sostenuto Anne, e questo è un punto interessante da considerare per definire noi stessi e noi stessi all’interno di un sistema più ampio.

Spessissimo, nelle famiglie e nei gruppi di appartenenza nascono il senso di colpa e la ribellione sui principi familiari e sociali che giungono dalla struttura del sistema di credenze inconsce, che viene trasmesso in ogni membro della famiglia.

 E’ dunque fondamentale la lealtà invisibile per sciogliere la presunta “competizione” con chi ci precede.

Se un figlio, ad esempio, percepisse e dunque capisse che, superando il livello di istruzione del genitore, diventerebbe una persona riconducibile a una categoria che il genitore odia (ricco, per esempio), il figlio tenderà a non rompere la lealtà invisibile pur di non fare un torto, pur di non creare attriti nell’albero. La promozione sociale/intellettuale/economica rischierebbe di creare divergenze in ambito familiare. Con un atto mancato, il figlio mantiene intatta la barriera di protezione che lo tiene in seno al nucleo, rispondendo inconsciamente al dettame del genitore che inviando un doppio messaggio contraddittorio, dice: “Io faccio di tutto per il tuo successo, lo voglio… ma temo che mi oltrepassi e che ci lasci o ci abbandoni”.

Spessissimo nelle famiglie non si parla di ció di cui non si puó parlare per pudore o vergogna e per evitare di indagare nei sottesi, nel nascosto, nelle ombre. Dunque, si tace sul passato anche.

Tutti intuiscono e nessuno parla e, il silenzio, concepito anche come “forma di rispetto per i defunti, di cui si parla sempre bene dopo il trapasso, tende ad ammantare gli accadimenti familiari sotto una spessa coltre di scuro.”

Si parla quindi di “cripta”e di “fantasma” (nel 1978 due psicanalisti, Abraham e Torok, introdussero il concetto) ossia, quando nel passato familiare vi è qualcosa di tremendo e non tramandabile (stupro, abuso, ingiustizia, tradimento, espropriazioni patrimoniale) – si preferisce nascondere l’evento e la persona che ne è stata protagonista.

Tutto questo crea danni estremi ai discendenti, ad esempio questi inizieranno a fare “qualcosa senza comprenderne la ragione”, l’inconscio e le paure nascoste cominceranno ad avere la meglio su di loro. Essi si sentiranno come posseduti, compiranno delle azioni non solite.

“Questo membro della famiglia conserva, in sostanza, in sé il “non-detto”, e lo incarna come a simboleggiare la presenza che si è invece voluto nascondere.”

La Schützenberger crea lo strumento di analisi del genosociogramma, ossia la ricostruzione analitica dell’albero genealogico, che permette di individuare i collegamenti tra gli elementi di generazioni diverse. In esso possono rientrare anche persone esterne alla famiglia, ma che sono state fondamentali nella vicenda familiare (benefattori, aiutanti, sostituti di ruoli fondamentali o chi ha danneggiato la famiglia, in qualche modo.

Un elemento di analisi molto importante è la coincidenza tra le date di nascita, di matrimonio, di morte, di incidente, dei diversi membri del sistema familiare: Schützenberger riscontra infatti la cosiddetta “sindrome da anniversario”, che si manifesta con l’insorgere di malattie o il verificarsi di incidenti, allo scadere di una certa età, o di una data particolare.

“Logosintesi è un sistema di cambiamento guidato, semplice ed elegante, che trova applicazione nella psicoterapia, nel counselling e nel coaching, ma può essere utilizzata anche come metodo di auto-aiuto. Logosintesi è stata scoperta e sviluppata dallo psicologo svizzero/olandese Willem Lammers nel 2005 e utilizza il potere delle parole per creare un cambiamento duraturo. Le Logocostellazioni sono uno strumento nato in seno a Logosintesi, che aiutano ad entrare in contatto con le percezioni sottili che derivano dagli aspetti disarmonici dell’albero genealogico.”

“Nei primi anni ‘30 del ‘900, il neurologo friulano Giuseppe Calligaris, studia e identifica il modo per stimolare la pelle creando una connessione con l’inconscio. Gli studi di Calligaris, ripresi dagli anni ’90 da Gandini e Fumagalli, fanno parte di una tecnica olistica di straordinaria efficacia che prende appunto il nome di Dermoriflessologia, capace di connetterci con aspetti peculiari del nostro spazio personale e, attraverso i sogni, aiutarci a rielaborare molte dinamiche irrisolte, tra cui anche quelle legate all’albero genealogico.”

La sola consapevolezza crea guarigione, il potere delle parole e la volontá personale al distacco familiare un’altra buona parte. Troppo spesso vi sono casi di distruzione auto o etero indotta per pesi, troppo pesanti familiari. Si pensi ai casi di tossicodipenza, delinquenza, violenza. Troppo spesso una famiglia o un gruppo di legami è segnato da drammi ripetuti e l’apatia alla soluzione non puó che amplificare questi effetti. 

D.S.

 

Rivisto da www.fisicaquantistica.it

Fonte: http://www.armoniaemozionale.it/sindrome-degli-antenati-gli-avi-influenzano-il-futuro/

“Sindrome degli antenati”: gli avi influenzano il nostro futuro?

https://www.thesocialpost.it/2017/06/21/la-maledizione-degli-agnelli/

 

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Il rischio dell’amor perduto

Febbraio 19, 2018
Quest’ultimo periodo conosce pesanti dinamiche di incapacità di manifestazione affettiva, che sfociano in ansia, problemi sessuali, relazionali ….
I più divengono dei pezzi di ghiaccio che urgono uno sblocco dei flussi energetici e, spesso, i più fragili si danno a evasioni estreme quali droghe, sesso estremo con soggetti “estremi”, violenze domestiche e non…
Questa necessità di perfezione, propria del periodo attuale, derivante dal non riuscire ad ammettere a se stessi il fallimento, fisico, morale, sessuale e, soprattutto, di carriera, non fa altro che rendere infelici, chi di motivi di infelicità propriamente non ne ha.
La capacità di accettazione dell’insuccesso, quale base prodromica al successo e l’importanza del saper non aspettarsi nulla di più di quello che ognuno può darsi e dare può essere la salvezza. Il così detto “detto” napoletano “futtitinne”… Quanto è liberatoria questa espressione?
Tutto parte dalla paura dell’errore, dell’insuccesso e dunque dalla sofferenza. Dalla paura che l’altro o le cose possano cambiare e dunque non essere più perfette come dovrebbero essere allo stato attuale e che, in ogni caso non sono. Da ciò emerge il blocco, che consiste nel fortissimo programma inconscio “il non rischio mi salva”. Non rischiare, come dicono in molti equivale a non vivere. Il ghiacciolo vivente.
Il non far nulla porta al non rischio e dunque al non amore. Se non si fa nulla, non si rischia, non si muore (forse) e non si soffre.
Ecco però cosa accade se non si ama, vive, rischia.
D’Avenia, nel suo ultimo libro, raccolta di storie di Amore, di personaggi illustri del passato parla, tra le altre avventure, di Orfeo  del Suo famoso mito.
PolizianoFabula di Orfeo, 237.: “Io te la rendo, ma con queste leggi: / che lei ti segua per la ceca via / ma che tu mai la sua faccia non veggi / finché tra i vivi pervenuta sia!
Rilievo con Orfeo, Euridice ed Hermes, copia di età augustea di un originale greco del V secolo a.C.di scuola fidiaca, marmo (Napoli, Museo Archeologico Nazionale)
Amando Euridice, Orfeo ha fatto esperienza della morte e ha rischiato. Ricorda, infatti, che per amare veramente bisogna entrare in un territorio che potrebbe essere l’origine della felicità, senza tuttavia averne il dominio.
Secondo Jung, inoltre, si vive di ciò che si dona. «L’amore è un concetto estensibile che va dal cielo all’inferno, riunisce in sé il bene e il male, il sublime e l’infinito.»
Lasciando il flusso dell’Amore scorrere, se ne viene di nuovo “colpiti”. E’ il fluire la salvezza. Il fiume scorre senza paura di dove andrà e per questo crea un enorme flusso di energia, purificatorio e libero.
Il rischio dell’amore è vita e la fortuna di ogni umano è saper smettere di controllare la vita, accettare la paura di essere mortali e cominciare a essere realmente viventi. Solo in tal modo possiamo smettere di essere ghiaccioli, in attesa di essere “disibernati”.
Questa patologica necessità di essere autosufficienti per paura di venire scalpiti nel proprio intimo non fa altro che creare ibernazioni mentali, spirituali e fisiche e distacco dal fluire del fiume e dalla energia creativa.
Inizialmente l’amare offre una sensazione inebriante di immortalità, chi ama non ha più paura di nulla,  si sente fortissimo e potente.
L’atto di costruzione dell’amore richiede poi necessariamente il ricordo della propria mortalità, in modo tale da riuscire ad aderire alla propria ombra, raggiungendo, così uno stato di giovinezza perenne. Questa è l’arte dell’amore.
Per amare è fondamentale lo stato di esseri mortali, se non si è mortali non si è in grado di amare. Gli dei non possono saperne nulla … Il Cupido che trafigge il cuore ci rende dei perfetti mortali innamorati. Con la freccia di Cupido nel cuore, non siamo più intonsi e protetti, abbiamo una apertura, non siamo più autosufficienti ed entriamo nel rischio della vita.
Ma allora gli dei antichi come possono saperne dell’amore essendo immortali?
Eppure:
«Quando la psicologia archetipica parla di amore, essa procede in modo mitico perché è obbligata a ricordare che anche l’amore è non umano. Il suo potere cosmogonico, al quale partecipano anche gli esseri umani, è personificato da Dei e Dee dell’amore.
Quando le cosmogonie situano l’amore al principio, essi si riferiscono a Eros, a un daimon o a un Dio, e non semplicemente a un sentimento umano. Il potere cosmogonico dell’amore di strutturare un mondo attira in esso gli esseri umani in conformità con i vari stili di Dei dell’amore.
Vi sono, inoltre, stili di amore che si manifestano in divinità apparentemente estranee all’amore:
– Atena ama Ulisse coi suoi consigli,con la sua protezione e il suo aiuto a riunirsi con Penelope;
– Ermes ama Priamo col suo intervento nel furtivo accordo notturno per riottenere il corpo del figlio ucciso.
Ciascun Dio ama a suo modo: quando Zeus dà il suo amore a una donna mortale avviene uno splendido disastro con un risultato eccezionale, a sua volta ben diverso dai disastrosi effetti degli inseguimenti di Apollo.
L’amore di Arianna può abbracciare sia il duro guerriero Teseo sia Dioniso molle di vino. Ciò di cui abbiamo bisogno è una psicologia archetipica dell’amore, un esame dell’amore alla luce del mito.» (James Hillman – Re-Visione della psicologia – Adelphi, pp.311-312).
Qual è dunque il legame vero che libera e permette di rischiare?  Gli amori che levano la libertà creano dipendenza ed ogni genere di dipendenza è distruttiva. I legami veri liberano, un amore che può essere visto come la corda che permette di scalare la parete. Solo accettando l’altro come oltre, come avventura rischiosa e differente da sé. L’amore è possibile solo se si guarda oltre il già noto.
« […] E’ piuttosto l’incapacità di amare che priva l’uomo delle sue possibilità. Questo mondo è vuoto solo per colui che non sa dirigere la sua libido sulle cose e sugli uomini, e conferir loro a suo talento vita e bellezza. Ciò che dunque ci costringe a creare, traendolo da noi stessi, un surrogato, non è una carenza esterna di oggetti, ma la nostra incapacità di abbracciare con amore una cosa che stia al di fuori di noi.
[…] Mai difficoltà concrete potranno costringere la libido a regredire durevolmente a un punto tale da provocare l’insorgere di una nevrosi. Manca qui il conflitto che è il presupposto di ogni nevrosi.
Solo una resistenza, che contrapponga il suo non volere al volere, è in grado di produrre quella regressione che può essere il punto di partenza di un disturbo psicogeno. La resistenza contro l’amore genera l’incapacità all’amore, oppure tal incapacità può operare come resistenza
(C.G. Jung – Simboli della Trasformazione, p.175)
Trasgredire è la parola dell’amore. Oggi, invece, non essendo più capaci di amare, nel senso di dare, accogliere e ricevere, si trasgredisce in modalità dannose per sé e per il prossimo e, proprio perché il bisogno è innato, non se ne può fare a meno della trasgressione. Tuttavia, non canalizzando in modo corretto, si trasgredisce con “porcherie” becere ed ignoranti. Ignoranti perché ignorano l’amore e danneggiano gli umani.
Tornando ad Ovidio, dunque, la stessa paura di Orfeo che ha nell’andare nell’aldilà, ma che poi supera, impedisce di conoscere l’amore “trasgressivo”. In latino:- egredi = andare; trans- = oltre. Se si accetta la paura la si affronta, lì si trova la gioia, il proprio amore. Orfeo la vince e scende negli inferi, ove trova Euridice. Dunque accettare il taglio, che ci separa dall’altro, uscendo dalle proprie certezze, dalla propria autosufficienza e dal proprio egoismo.
Oggi, forse, per soccombere questa incapacità, si va solo “oltre” … Oltre con ogni genere di eccesso al fine ultimo di provare un surrogato del piacere dell’amore: droghe, foto estetiche in rete, consenso sociale derivante da post insignificanti e da c.d. “like” fuori luogo, sesso trasgressivo, dipendenza da alcool, muscoli pompati, gioco d’azzardo, cibo …
Si vive un amore ridotto ad una serie di piaceri effimeri, che fanno regredire alla propria pienezza infantile di bimbo immortale. “L’altro non diventa mai veramente un altro, un alieno, direbbe il latino (colui che viene fuori), ma rimane una proiezione di me, utile al piacere, che si illude di essere trasgressivo, ma che di trasgressivo non ha nulla, tanto che alla lunga annoia.” (D’Avenia)
Tutto per non vivere il semplice e onesto sentimento d’amore.
La vera trasgressione dell’amore, grazie alla semplice e basilare conoscenza della morte può sciogliere il ghiacciolo, che il tempo e le esperienze hanno formato.
Se si impara che il tempo che passa lo si può affrontare in due nella consapevolezza unica e totale per cui non si può avere conoscenza di se stessi, se non attraverso la relazione con l’altro si scopre che amare non è il controllo dell’amato e tanto meno di se stessi, ma una danza a due per la conoscenza di sé, grazie a quell’altro da sé, che altro non è che lo specchio di sé.
“L’amore serve a far la morte amica. Un villaggio giapponese conserva un’antica consuetudine: prima di sposarsi o di avere un figlio, ogni donna deve prestare i riti finali  a un corpo morto, prepararlo per la sepoltura. Non si può amare un uomo, non si può dare vita a un figlio, se non si sa cosa siano la gravità e il silenzio della morte. In quel momento la donna diventa consapevole di ciò che sta per affrontare e impara che il suo dare la vita è forte come la morte. Non è un caso che noi uomini siamo attratti dalla pancia scoperta di una donna: mentre quella di un uomo ci ricorda solo il cibo, quella di una donna ci fa sentire la presenza di uno spazio vitale, dell’antidoto alla morte. La pancia di un uomo è una pancia, la pancia di una donna è un grembo, dove la vita può essere tessuta, dove l’amore si fa storia.” (D’Avenia)
D.S.
Fonti:
  • Ogni storia è una storia d’amore, Alessandro D’Avenia

L’Amore secondo il grande psicologo C.G. Jung: si vive di ciò che si dona

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Dalla posizione fetale a quella erecta

Gennaio 22, 2018

Il meglio filosofo dei nostri tempi consiglia di rifarsi il letto, quale metafora del divenire adulti. Ci sono, infanti umani ed abnormi, che ancora non sono in grado di badare a loro stessi eppure si atteggiano a maestri e principi del mondo, proprio laddove la loro minuscola autostima è celata da una aggressività verbale e aimé spesso fisica. Quegli onnipotenti ignari del necessario e obbligato passaggio dalla comoda e indisturbata onnipotenza infantile alla nuova e ruvida consapevolezza. Inconsci volontariamente, ma pur sempre incatenati dalla loro stessa essenza del fatto che non tutto è subito e che gli altri non sono utensili per la propria felicità, ma soprattutto che la vita è la materia prima più dura, ma proprio per questo necessaria. La vita non è latte materno sempre disponibile e in abbondanza, bensì è “marmo da scalpellare michelangiolescamente giorno dopo giorno, perché ne venga fuori il progetto che vi è inscritto e che vi abbiamo intravisto“.

Dunque la necessità primaria da sviluppare al fine di vivere la vita e uscire senza traumi dalla dolce vita fetale infantile è imparare l’ormai noto a parole «mestiere di vivere» raggiungibile, forse, grazie al tempo che rende il frutto dell’animo umano maturo. Ma cosa e soprattutto quando si può dire di essere finalmente maturi? La risposta più banale può essere semplicemente il principio massimo e unico dell’accettazione: “maturo è chi riesce a mettersi d’accordo con la vita smettendola di aspettarsi qualcosa da lei, ma accetta coraggiosamente sia lei ad aspettarsi qualcosa da lui, in un sempre più armonico dialogo tra la naturale sete di felicità e gli altrettanto naturali limiti umani con cui ci si scontra nella bellezza incompiuta del cosmo.”

Dunque, solo se si ha coraggio di abbandonare la posizione fetale e di aprirsi al mondo in modo esplorativo e generoso, allora e solo allora, si potrà conoscere la felicità. Anche e soprattutto a costo di conoscere, oltre alle gioie, le ferite che inevitabili attraversano il cammino del guerriero.

Ma, anche quando finalmente si crede di essere diventati degli immancabili verticali ci saranno momenti in cui sarà estremamente necessario tornare ad avere la forza di riprendere la posizione erecta. Per migliorare le cose, le si deve amare e quale migliore metodo per raggiungere questo stato di amore se non analizzare la bellezza e la bruttezza delle cose per poi poterle amare nella migliore e candida purezza? Spesso, il “poeta” ci ricorda, la bruttezza è semplicemente “temporanea incompiutezza“.

L’amore lo si trova negli occhi delle persone. Avete mai provato a fissare l’altro per qualche minuto senza dire nulla? Solo tentando si potrà conoscere la profondità dell’anima che scorre liquida sino alle cavità del cranio riempita da due sfere gelatinose che ci permettono di percepire colori, forme e sfumature di questo cosmo. Solo guardando negli occhi bambini e adulti-bambini si riconosce la loro essenza e la si rimanda a loro permettendo di fargli raggiungere la posizione erecta. “Solo così bambini e bambine si compiono in uomini e donne capaci di stare al mondo con la schiena dritta e lo sguardo aperto all’orizzonte, senza paura di averne paura, senza deliri di onnipotenza risarciti da dipendenze regressive, stordenti o addirittura distruttive, ma con gli umanissimi sorrisi o lacrime di chi è, come diceva Hannah Arendt di ogni nascita, qualcosa di nuovo da introdurre nell’anonimato della moltitudine e nel già visto della storia — e sa di esserlo.”

Nelle Metamorfosi, Ovidio, come insegna D’Avenia nel libro “Ogni storia è una storia d’amore”, parla di effervescere, inteso come scintillio delle stelle nel cielo non appena Dio le pose nel cielo. E questo effervescere  sta piano piano sbiadendo, il cielo che oggi vediamo non è più visto come accadeva dagli antichi. L’uomo ha il volto perché è ri-volto verso il firmamento o orizzonte, vincendo quel sentimento di vergogna del vivere, altrimenti definito paura. Tutto dipende dallo sguardo e da ciò che lo attrae e noi diventiamo ciò che guardiamo. Oggi dove? Verso il basso (telefonini) scordando di intercettare in orizzontale il volto altrui e in verticale la volta celeste. Chi non guarda i volti e la volta rimane in una condizione pre-umana, perché unicamente “nel volto dell’altro si scopre la propria essenza umana, solo nella volta del cielo si scopre la propria essenza divina. Senza uno dei due sguardi l’uomo zoppica, senza entrambi è paralitico.”

Fonte: Donnasapiens

Testi: http://www.corriere.it/cultura/18_gennaio_21/1-ogni-benedetto-lunedi-alessandro-d-avenia-letti-da-rifare-rubrica-120974a2-febd-11e7-8f20-c3835ef8a905.shtml

“Ogni storia è una storia d’amore”, Alessandro D’Avenia

 

 

 

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Imparare l’accettazione dal Giappone

Maggio 29, 2017

Per i giapponesi, trovarsi sprovvisti di tutto in un determinato momento della propria vita può rappresentare un’occasione per avviarsi verso la luce di un’incredibile conoscenza. Accettare la propria vulnerabilità è una forma di coraggio ed il meccanismo che avvia la sana arte della resilienza, con cui non perdere mai la prospettiva o la voglia di vivere.

Dopo i bombardamenti atomici su Hiroshima e Nagasaki, nella lingua giapponese si è cominciata a diffondere un’espressione che, in qualche modo, ha acquisito di nuovo una notevole trascendenza dopo il disastro dello tsunami dell’11 marzo 2011. Questa espressione è “Shikata ga nai” e significa “non c’è rimedio, non c’è alternativa o non c’è niente da fare”. 

L’accettazione è il primo passo verso la liberazione. Non ci si può svestire del tutto della pena e del dolore, è chiaro, ma dopo aver accettato quanto accaduto, si permetterà a se stessi di avanzare recuperando un elemento essenziale: la volontà di vivere.

“Shikata ga nai” o il potere della vulnerabilità

Dopo il terremoto del 2011 ed il conseguente disastro nucleare nella centrale di Fukushima, sono molti i giornalisti occidentali che viaggiano fino al nord-ovest del Giappone per scoprire in che modo persistono le tracce della tragedia e come la gente sta riuscendo, poco a poco, a riemergere dal disastro. È affascinante capire come si affronta il dolore della perdita e l’impatto di vedersi sprovvisti di quella che, fino a quel momento, era stata la propria vita.

Tuttavia, e per quanto sembri strano, i giornalisti che fanno questo lungo viaggio rientrano nel loro paese con qualcosa che va oltre il semplice reportage. Non solo testimonianze e fotografie impattanti. Rientrano con la saggezza della vita, tornano alla routine del loro mondo occidentale con la chiara sensazione di essere cambiati dentro. Un esempio di questo coraggio esistenziali ci viene offerto dal signor Sato Shigematsu, il quale nello tsunami ha perso sua moglie e suo figlio.

Ogni mattina scrive uno haiku. Si tratta di un componimento poetico composto da tre versi nel quale i giapponesi fanno riferimento a scene appartenenti alla natura o alla vita quotidiana. Il signor Shigematsu trova un grande sollievo in questa abitudine e non esita a mostrare ai giornalisti uno di questi haiku:

“Sprovvisto di proprietà, nudo

Tuttavia, benedetto dalla Natura 

Accarezzato dalla brezza estiva che ne segna l’inizio.”

Come spiega loro questo sopravvissuto e, al tempo stesso vittima, dello tsunami del 2011, il valore di abbracciare ogni mattina la sua vulnerabilità tramite un hiku gli permette di connettersi molto meglio con se stesso per rinnovarsi, così come fa la natura stessa. Comprende anche che la vita è incerta, implacabile a volte. Crudele quando lo vuole.

Ad ogni modo, imparare ad accettare quanto accaduto o dire a se stesso “Shikata ga nai” (accettalo, non c’è rimedio) gli permette di mettere da parte l’angoscia per concentrarsi sull’aspetto necessario: ricostruire la sua vita, ricostruire la sua terra. 

Il detto “Nana-Korobi, Ya-Oki” (se cadi sette volte, alzati otto) è un vecchio proverbio giapponese che riflette questo ideale di resistenza così presente praticamente in tutti gli aspetti della cultura nipponica. È possibile vedere questa essenza di superamento nei loro sport, nel loro modo di condurre gli affari, di impostare l’educazione o, persino, nelle loro espressioni artistiche.

“Il guerriero più saggio e forte è provvisto della conoscenza della sua stessa vulnerabilità”
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Bene, adesso bisogna sottolineare che ci sono importanti sfumature in questo significato di resistenza. Comprenderle ci sarà di grande utilità e, al tempo stesso, ci permetterà di avvicinarci ad un approccio più delicato ed ugualmente efficace per quando dovremo affrontare un’avversità. Vediamolo nel dettaglio.

Le chiavi della vulnerabilità come metodo per raggiungere la resistenza vitale

Secondo un articolo pubblicato sul “Japan Times“, praticare l’arte dell’accettazione o del “Shikata ga nai” genera cambiamenti positivi nell’organismo della persona: si regola la tensione arteriosa e si riduce l’impatto dello stress. Accettare la tragedia, entrare in contatto con la nostra vulnerabilità presente ed il nostro dolore è un modo di smettere di lottare contro qualcosa che ormai non può cambiare.

  • Dopo il disastro dello tsunami, la maggior parte dei sopravvissuti che potevano mantenersi da soli, hanno iniziato ad aiutarsi gli uni con gli altri seguendo il lemma “Ganbatte kudasai” (non bisogna darsi per vinti). I giapponesi comprendono che per affrontare una crisi o un momento di grande avversità, bisogna accettare le proprie circostanze ed essere di utilità sia per se stessi sia per gli altri.
  • Un altro aspetto interessate su cui soffermarci è il loro concetto di calma e pazienza. I giapponesi sanno che ogni cosa ha i suoi tempi. Nessuno può riprendersi da un giorno all’altro. Il recupero di una mente e di un cuore richiede tempo, molto tempo, così come richiede tempo ricostruire un paese, una città o una nazione intera.

È necessario, dunque, essere pazienti, prudenti, ma al tempo stesso persistenti. Perché non importa quante volte ci faccia cadere la vita, il destino, l’infortunio o la sempre implacabile natura con i suoi disastri: la resa non deve mai adoperarsi della nostra mente. L’umanità resiste e persiste sempre, impariamo, quindi, da questa saggezza utile ed interessante regalataci dalla cultura giapponese.

Fonte: https://lamenteemeravigliosa.it/arte-giapponese-vulnerabilita/

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Come ritrovare se stessi: i tre cancelli da aprire

Maggio 24, 2017

Azione, pensiero, emozione. Queste tre componenti riescono a identificare quello che stiamo facendo, riescono a mostrare la qualità della nostra esperienza di vita, ma non potranno mai dirci chi siamo. Azione, pensiero, emozione determinano la nostra entità fisica, quella riconosciuta anche dal mondo esterno, la confinano in un involucro ma non ne rivelano l’essenza. Chi sei?

Hai letto bene il titolo dell’articolo? A rieccolo → Come ritrovare se stessi: i tre cancelli da aprire.

La Vita che ti anima non è limitabile, non le si possono attribuire dei confini, ne tantomeno la puoi afferrare. Ma quella Vita, quell’energia cosmica che risiede in ogni cosa che tu puoi osservare, quella stessa energia che fa fiorire le margherite, ecco, quella è la tua essenza, quell’energia sei tu.

Bene, hai già capito quali sono i tre cancelli da aprire per ritrovare chi siamo. Azione, pensiero, emozione. Questi sono i tre confini da superare. Oltre questi tre limiti troviamo noi stessi.

Questi tre elementi sono sempre in relazione tra loro. Quando cambi i tuoi pensieri, cambiano le tue emozioni. Quando cambi le tue azioni ti permetti di generare pensieri diversi. E quando l’emozione avvolge l’azione che stai andando a compiere ne determina la qualità del risultato.

Questi tre elementi sono delle variabili. Ognuno è strettamente legato all’altro. Ed ecco che se non riesci a generare pensieri differenti dal solito ti basterà iniziare a svolgere azioni differenti. E ti stupirai di quanto sarà immediato l’effetto. La mente (inconscia), appena si accorge del cambiamento, cambierà prospettiva e automaticamente cambierà le sue risposte. Questo discorso è il tema principale dell’ebook gratuito CAMBIA, PUOI! quindi non lo affronterò ulteriormente in questo articolo.

Nelle righe che seguiranno, piuttosto, esaminerei queste tre variabili per comprendere il perché siano esse ad allontanarci da chi siamo realmente.

E prima di affrontare i nostri tre cancelli è essenziale fare inversione di marcia. Poni attenzione dentro di te e non fuori. Affronta onestamente questi tre step:

PRIMO STEP → Osservati, prendi consapevolezza del tuo corpo. Lo puoi muovere, puoi sentire il battito del tuo cuore, puoi decidere se alzare un braccio, se chiudere un occhio. Ci sei? Hai il pieno controllo del tuo corpo. Scegli ora di essere attento e consapevole a ogni suo movimento.

SECONDO STEP → Ora osserva la tua mente. Avviene la stessa cosa. Puoi decidere quale pensiero generare. Si, molti altri sorgeranno automaticamente ma tu puoi decidere se mantenerli in vita prestando loro attenzione o ignorarli per farli svanire. Scegli ora di prestare attenzione al prodotto della tua mente, sii consapevole di quello che fa.

TERZO STEP → Osserva l’emozione che in questo istante ti anima. Ti senti gioioso, ansioso, inquieto, innamorato… ci sarà sempre un’emozione predominante. È fondamentale imparare a osservarla, comprenderla e lasciarla fluire per quello che è: una forma di energia, reazione fisiologica dei pensieri che la mente ha generato. Niente più. Osservala e distaccatene. Non sei tu.

Questi tre passi di consapevolezza ci aiutano a riprendere in mano il perfetto organismo che ci è stato gentilmente concesso da Dio, da madre natura, dall’universo. TU hai il pieno controllo di te stesso solamente volgendo lo sguardo dentro e non fuori. Potrebbe essere difficoltoso all’inizio ma con il giusto allenamento questo punto di osservazione diventerà il tuo stato naturale d’essere.

Se ti identifichi con ciò che accade fuori ti perdi, se ti identifichi con ciò che avviene dentro ti accorgi di esistere… se non ti identifichi con nulla ti risvegli e torni nel tuo ruolo di testimone privo di giudizio.

E ORA LASCIA CHE ACCADA…

Tutto è già successo! Già. Se hai eseguito i tre step e sei stato onesto con te stesso hai già superato i tre cancelli di cui ti parlavo 🙂

Azione, pensiero ed emozione. Questi tre cancelli puoi superarli solamente quando ti accorgi che essi esistono. I tre step ti permettono ora di trovarti al di fuori di quelle gabbie illusorie che i cinque sensi offrono. Ora sei fuori e puoi osservare. Dalla posizione in cui ti trovi puoi fare un passo avanti e tornare dietro i tuoi cancelli, oppure puoi lasciarti andare e aspettare che accada. Che accada cosa? Ma il risveglio! L’illuminazione non è qualcosa che si cerca, è qualcosa che capita. All’improvviso.

E come ci ricorderebbe Yoda, piccolo grande Jedi della saga “Star Wars”, fare o non fare, non esiste provare!

Puoi scegliere di e-seguire questi tre step sin da subito e provare sulla tua pelle cosa vuol dire ritrovarsi dall’altra parte, o puoi continuare a stare lì dove stai, dietro preconcetti illusori che guidano la tua vita e non ti permettono di riappropriartene. Non c’è bisogno di credere in qualcosa di particolare per fare quello che ti ho suggerito. Devi solo sperimentare di persona. I processi interni degli esseri umani sono uguali per tutti. Un cuore è un cuore, un braccio è un braccio, un occhio è un occhio. Siamo tutti uguali anche se all’apparenza diversi. Funzioniamo tutti nell’identico modo e la Verità è per tutti nello stesso luogo: dentro se stessi.

Buona Vita

Fonte: https://blog.esserefelici.org/2017/04/10/come-ritrovare-se-stessi-i-tre-cancelli-da-aprire/#more-17714

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L’importanza del cuore

Maggio 8, 2017

Il cuore è un organo che si muove in continuazione: si muove perché supporta la vita.
È la vita stessa. È in continuo movimento perché VUOLE vivere qualsiasi esperienza, anche le più dolorose. Dal suo movimento possiamo imparare il segreto della vita: è scientificamente provato che il cuore ha una volontà sua, non dominata dalla mente. È l’unico organo del corpo ad avere un secondo “cervello” fisico.

Il cuore batte per sua scelta, non per merito nostro. Anche se volessimo fermarlo, con la volontà non ci riusciremmo. Lui non ci ha dato questa possibilità, e si è rivelata una scelta molto saggia: lui sapeva che a volte perdiamo la speranza nella vita e che la sfiducia e la disperazione possono prevalere e sovrastarci. Sapeva che nei momenti di sofferenza avremmo voluto scomparire pur di non sentire il dolore e lo avremmo annullato.

Il cuore sente tutto di noi e della vita intorno a noi, è sensibile e in comunione con l’universo e noi pur di dimenticare quel dolore terribile, vorremmo spegnerlo… quanti guai se solo la scelta fosse nostra! Se per battere il cuore avesse bisogno della nostra collaborazione, saremmo già morti tante volte. Quando il dolore è insopportabile noi vorremmo abbandonare tutto di noi… ma non possiamo abbandonare il cuore, perché è lui che non abbandona mai noi. Perché lui batte da solo.

Lui ci supporta. Anche senza la nostra collaborazione.

Allora troviamo altri modi: lo chiudiamo in un angolino, in modo da non sentirlo, oppure quando parla gli urliamo contro: “ NON TI CREDO!” , perché pensiamo che soffriremmo di meno senza di lui. Ma lui, anche se abbandonato e chiuso con la forza, continua imperterrito a battere, senza chiederci di nuovo il permesso. Basta guardarlo un attimo per riconoscere che lui è il fulcro, la SORGENTE PRIMARIA e il motore della nostra vita.

Organicamente e simbolicamente è lui che ci genera e ci rigenera, attimo dopo attimo. Quando lo guardiamo, tutto ammaccato perché è stato dimenticato, e noi ci chiediamo stupiti come mai batte ancora, come mai non si è fermato neanche un po’, dopo averlo chiuso in un ripostiglio buio lontano da noi, additandolo come la causa di ogni male, lui ci risponde che rifiutando lui, anche in minima parte e anche solo per un momento, rifiutiamo la vita stessa.

Grazie a Morena Masciullo

Fonte: http://www.visionealchemica.com/il-cuore-nostra-sorgente-primaria/

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Perché evitare l’uomo rospo

Maggio 8, 2017

Non è mica vero che le donne cercano il principe azzurro. E’ molto più vero che le donne inseguono il rospo. Spesso non se ne rendono conto, ma si appassionano molto di più, piangono e sprecano il loro tempo a soffrire per amore dietro al rospo e non dietro al principe azzurro. Anche perché il principe azzuro, se è davvero tale, mica ti fa soffrire.

Sbagliato credere che il mito del principe azzurro va per la maggiore. Il più grande dei miti dei nostri tempi è il rospo.

Per molte ragioni, alcune prettamente statistiche: il principe azzurro – se è un principe azzurro vero – per solito è un uomo normale, equilibrato, dotato di rispetto per sé e per gli altri. Si fa meno notare, dunque, non fa notizia. E, di certo, è un soggetto meno diffuso del rospo.

Il rospo, che non vale l’unghia del mignolo del suddetto principe azzurro, invece, ha la capacità di farsi notare. Una capacità perversa, sia chiaro. Esattamente come il bulletto di periferia, il graffittaro che scempia edifici e opere delle nostre città, il pirata delle strada che sorpassa da destra, parcheggia in divieto di sosta e non si ferma sulle strisce.

“Cappellaio Matto: Credi ancora che sia un sogno, non è vero? Alice: Ma certo, è solo un’invenzione della mia mente.”

Siamo circondati da rospi. Il rospo è il protagonista del nostro mondo. E il rospo continua ad avere un fascino irresistibile sulle donne. Perché molte donne sono state educate a prendersi cura dei più deboli e dei disadattati e quando incontrano un rospo, alé, si mettono la croce rossa sul petto e partono per la loro avventurosa spedizione di salvataggio. Senza scudo, però.

Sì, le donne sono state educate a salvare gli altri. Chi se ne frega se nel tentativo – sempre vano, sempre assolutamente vano – di salvare gli altri, sono loro a lasciarci le penne? Questo non è un dato che interessa, non è un dato che fa notizia. Soprattutto, quello che fa più impressione, è che il fatto che siano loro a lasciarci le penne non interessa nemmeno alle donne che ci lasciano le penne. Sconvolgente, ma reale.

Il rospo e l’ostinazione femminile a fare rospicologia

Credo che il passaggio di crescita e di cambiamento (in meglio) più complicato da attuare per le donne che amano troppo, soffrono per amore e quant’altro sia quello di comprendere, con tutte se stesse, con la carne e il sangue, che è di sé che si devono occupare, non degli uomini che hanno intorno, si tratti pure di padri, fidanzati, mariti. Che loro (gli uomini) si occupino di se stessi (cosa che peraltro per educazione e tradizione gli viene molto bene fare) e che le donne si occupino, con grande dedizione e amore, di sé, della propria autonomia, della propria indipendenza. Che imparino a essere felici, senza attaccarsi a un uomo, alla fantasia dell’amore per lui o alla missione disperata di cambiarlo e di salvarlo.

“Cappellaio Matto: Questo vorrebbe dire che non sono reale? Alice: Temo di sì, ma non mi sorprende che io sogni un mezzo matto.”

Qualche giorno fa, a un articolo dedicato all’uomo irresponsabile ho ricevuto questo commento:

“Bello questo articolo grazie Ilaria. Io ci sono tutta dentro in una storia con qualcuno a metà strada tra irresponsabile e stronzo. Mi fa salire alle stelle con la sua giovialità ed energia e poi scendere alle stalle con la sua ambiguità. Non posso però dire che “non mi difendo” (almeno cerco), riesco ad arrabbiarmi e a mandarlo a quel paese. La cosa strana è che dopo mi sento in colpa. Mi sento “cattiva”, poco comprensiva o…cretina (e questo anziché allontanarmi mi lega). Perché la rabbia in fondo è anch’essa un grande regalo. È aprirsi, dire cosa fa male anche se con risentimento. Devo dire che il modo di esprimerla comunque non è mai degradato in parole offensive, piuttosto in frasi tipo “che andassi altrove a perdere il tuo tempo e mi lasciassi in pace”. Oppure con un bell’elenco delle promesse non mantenute e poi un bel “e adesso va a quel paese”. Posso esprimermi solo con sms perché lui fa parte degli inafferrabili che chiama ogni giorno per raccontarmi (poco di lui) e farmi raccontare (molto di me), o per dirmi che ha voglia di vedermi, che verrà presto ma poi nella realtà non ha tempo. E se accenno a qualcosa al telefono mi smorza con frasi come “adesso devo andare, ti chiamo stasera”. Invece chiama dopo due giorni e io non riesco a dire più niente. A volte vado completamente in tilt. Non capisco che vuole da me. Non si può dire neppure che sia un affamato di sesso, che “miri a portarmi a letto” (per quello dovrebbe essere un po’ più presente). Però il suo comportamento ambiguo mi destabilizza e mi rende aggressiva. Il mio self control ha dei limiti. Dopo la terza o quarta volta che fa crescere in me aspettative (accarezzo l’idea di vederti, quando torno vengo da te così parliamo, non c’é nessun altra ecc..) a cui poi nella realtà non corrisponde, io mi arrabbio e lui sparisce per settimane. Quando “torna” dice che è sparito perché si sentiva in colpa e non sapeva che dirmi perché ho ragione. Ma nella realtà non cambia di una virgola. Adesso mi sono detta basta. L’ultima volta che ha chiamato non ho risposto. Resta però il mistero, cosa spinge certi uomini a comportarsi così? Uomini che non cercano primariamente sesso. Cercano altro. Oppure è colpa mia che mi arrabbio? E poi perché mi sento in colpa? Qualcuno sa illuminarmi? Grazie!”

“Cappellaio Matto: Ma dovresti essere mezza matta anche tu per sognare uno come me. Alice:Evidentemente lo sono.”

Il commento è interessante, per l’intelligenza, la consapevolezza e soprattutto per la doppia domanda finale. Nelle decine di mail che ricevo ogni giorno, donne di tutte le età mi raccontano storie molte simili che hanno per protagonisti uomini inconsistenti con comportamenti inconsistenti e la domanda classica è: “Perché lui si comporta così? Perché gli uomini si comportano così?”. La risposta io anche ce l’avrei (gli uomini, in genere, hanno una visione completamente opposta a quella femminile riguardo le relazioni: sono stati educati fondamentalmente a sottovalutare i sentimenti e  a perseguire il proprio benessere in modo quasi esclusivo). Il fatto è che poco importa, se e quando tu stai soffrendo, del perché lui o loro si comportano in un certo modo.

L’unica cosa che importa è perché tu ti comporti in questo modo, cioè accetti atteggiamenti svalutanti nei tuoi confronti. Umilianti e offensivi. Che, soprattutto, ti allontanano dal sogno di amore che dici di avere.

Il rospo, e i tanti perché

Le ragioni per le quali tu ti senti in colpa hanno anche loro radici lontane: l’educazione femminile, spingendo bimbe, ragazze a donne a prendersi sempre la responsabilità di far funzionare le relazioni (che si tratti di un rapporto di coppia, familiare o di lavoro) le fa sentire in colpa quando qualcosa non va per il verso giusto  con le altre persone. Ecco perché le donne chiedono (anche a me) fino allo sfinimento: “Dove ho sbagliato? E’ forse colpa mia?” Certo, se dentro il tuo inconscio è stata ben calata la convinzione che i rapporti funzionano solo se tu li fai funzionare è ovvio che non hai scampo: è sempre colpa tua.

Ecco perché chi usa la manipolazione – tua madre, il tuo capo o un uomo – fa leva sul tuo senso di colpa: tutti sanno “a pelle”, che colpevolizzare gli altri e le donne, in particolare, ha sempre dei ritorni in termini di potere acquisito, di dominio sugli altri.

E tu che vuoi fare? Vuoi continuare a cadere nella trappola?

Ma attenzione, il nostro simpatico rospo di turno – il protagonista della storia raccontata dalla nostra amica – usa un doppio trucchetto, un triplo salto mortale carpiato, una finezza da prestigiatore-manipolatore che serve a imbrogliare le carte e a rendere tutto ancora più difficile da capire e pesante da sopportare.

Quando scompare e poi riappare, dice che è sparito perché si sentiva in colpa, perché non sapeva che dire, perché è lei ad avere ragione. Fantastico! Eccoci qui con l’analisi passo passo della finezza manipolatoria del rospo che si crede principe. Smascheriamolo, su!

“Lo strumento fondamentale per la manipolazione della realtà è la manipolazione delle parole. Philip K. Dick”

Rospo e manipolazione: 5 micidiali trucchi svelati

1) È sparito, il rospo, ma non perché è scorretto (ed è andato a farsi bellamente gli affaracci propri, sapendo che tanto il grado di cottura della sua amica sarebbe solo aumentato, nella trepidante attesa. Il rospo sa che tu l’aspetti e che ti ritrova lì, sempre ai suoi piedi.), ma perché era preso dai sensi di colpa. In crisi mistica insomma. La frittata viene girata in questo modo: “Sparire è una scorrettezza, lo so, ma non per me, che ero turbato. L’ho fatto non per mancanza di amore nei tuoi confronti, ma per troppo amore. Credimi, sono un principe azzurro incompreso, anche se salto proprio come un rospo.” Manipolazione numero 1.

2) La sparizione è stata per lui sofferenza. Poverino. Va capito, compreso, perdonato. Tatone!!! Bisogna essere buone con lui, altroché! Manipolazione numero 2.

3)  Si è sentito in colpa. E tu sai quanto pesa il senso di colpa. Quindi, proprio tu, non hai pietà per lui? Non sarai mica diventata insensibile e cattiva, vero?! Devi di certo sentirti in colpa per il suo senso di colpa. Anzi, sia ben chiaro, il tuo senso di colpa, per pareggiare i conti, deve pesare il doppio. Manipolazione numero 3.

4) Non sapeva che dire. Poverino, vorrai mica prendertela con uno rimasto senza parole? Mettiti il vestitino da psicologa (scusa, da rospologa) e sfodera tutta la tua comprensione, dopotutto è il tuo preciso dovere, ti è stato assegnato dalla natura, dalla società e da tutti gli altri uomini che hai conosciuto (lui compreso).

5) Ti riconosce che tu avevi ragione. E che vuoi di più di un riconoscimento / premio / concessione da sua Maestà Il Rospo? Questo dovrebbe bastarti per i prossimi 1.600 anni della tua vita. Lui mica è abituato a dare ragione così, tanto per riempirsi la bocca, eh! Manipolazione numero 5.

Il rospo e le conclusioni inevitabili

Ok e dopo la rivelazione sui trucchetti del rospo, riporto per completezza e dovere di cronaca la risposta che ho dato alla nostra amica lettrice alla domanda “cosa spinge certi uomini a comportarsi così?”.

Cercano approvazione, cercano un pubblico che li apprezzi, cercano di arginare il buco nero della loro infinita insicurezza. Sono degli sfigati cosmici. I più sfigati di tutti. E quando trovano una donna che dimostra interesse per loro, disprezzando chi li potrebbe apprezzare (dato che sono loro stessi i primi a pensare le peggio cose di sé), la disprezzano e la maltrattano. Mentre apprezzano che li disprezza (questo, ahimé, è un atteggiamento comune anche a molte donne).

Prima le donne capiscono la varietà infinita delle perversioni emotive come queste e si muovono in direzione opposta, meglio è. E muoversi in direzione opposta, significa perseguire il proprio interesse, non anelare l’attenzione di qualcuno non all’altezza.

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Fonte: lapersonagiusta.com

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Simbologia della chiocciola

Aprile 12, 2017

La Chiocciola si muove lentamente, restando sempre aderente alla Terra. Per questo motivo essa rappresenta il procedere con gradualità ma sicurezza verso un obiettivo. La Chiocciola ci ricorda che a volte è meglio avere cautela e non dare nell’occhio se si vuole arrivare a destinazione.

L’elemento a cui essa è legata è l’elemento Terra, l’elemento della stabilità, della sicurezza e delle ricchezze nascoste nei visceri delle montagne. La Chiocciola è dunque anche un simbolo di prosperità, ricchezza e sicurezza materiale.
Questo significato è rafforzato dal fatto che essa porta sempre con sé il suo guscio, cioè la sua casa, per cui tutto ciò che le serve lo ha in sè. E’ anche ermafrodita per cui possiede sia gli organi genitali maschile che femminili.

Altrettanto importante del suo procedere è il suo stare ferma. La Chiocciola può ritirarsi nel suo guscio, anche per lunghi periodi, ad esempio in inverno, per poi riemergere in primavera. Questo ci insegna che a volte la migliore strategia è non fare nulla per un certo periodo. Ritirarci può servire a raccogliere nuove energie nell’attesa di un momento migliore per agire. Le “antenne” della Chiocciola, con in cima gli occhi, simboleggiano la consapevolezza, attenzione ai dettagli, circospezione, atteggiamento vigile.

La spirale nel suo guscio riflette la costante matematica universale espressa dalla serie numerica di Fibonacci e che troviamo in tantissime specie viventi (1+1=2; 1+2=3; 2+3=5; 3+5=8, ecc). In altre parole, la spirale si amplia secondo uno schema preciso che riflette queste proporzioni (3, 5, 8, ecc.).

La spirale simboleggia il mistero profondo della vita e l’unità di tutto ciò che esiste. La Chiocciola appare nel Nove di Denari, rafforzando l’idea di ricchezza della carta. In questa carta il simbolo della Chiocciola significa che per ottenere benessere materiale è necessario tempo. La ricchezza ottenuta in fretta viene spesso persa altrettanto in fretta. Al contrario, la ricchezza che si costruisce nel tempo è in armonia con le leggi universali e ha radici più profonde. Così come per avere un raccolto bisogna rispettare i tempi della semina e della maturazione, così nel processo di manifestazione della ricchezza bisogna aspettare che i tempi facciano maturare le azioni che abbiamo intrapreso (i semi) e che si abbia il raccolto al momento giusto.

Lavorando con lentezza, gradualità, costanza, un po’ alla volta è possibile costruirsi un benessere duraturo. Risparmiando con regolarità per un lungo arco di tempo è possibile raggiungere la stabilità economica.

Il segreto, che il simbolo della Chiocciola rappresenta, è il procedere piano piano, con costanza e senza ansie.

La Chiocciola appare nel Nove di Denari, rafforzando l’idea di ricchezza della carta.

In questa carta il simbolo della Chiocciola significa che per ottenere benessere materiale è necessario tempo. La ricchezza ottenuta in fretta viene spesso persa altrettanto in fretta. Al contrario, la ricchezza che si costruisce nel tempo è in armonia con le leggi universali e ha radici più profonde.

Così come per avere un raccolto bisogna rispettare i tempi della semina e della maturazione, così nel processo di manifestazione della ricchezza bisogna aspettare che i tempi facciano maturare le azioni che abbiamo intrapreso (i semi) e che si abbia il raccolto al momento giusto.

Lavorando con lentezza, gradualità, costanza, un po’ alla volta è possibile costruirsi un benessere duraturo. Risparmiando con regolarità per un lungo arco di tempo è possibile raggiungere la stabilità economica. Il segreto che il simbolo della Chiocciola rappresenta, è il procedere piano piano, con costanza e senza ansie.

La Chiocciola evoca il lento percorso spirituale, infatti il processo di iniziazione esige tempo e pazienza. L’iniziato, nel suo cammino deve muoversi con prudenza, con pazienza, economizzando le sue forze: tutte qualità che ritroviamo nella Chiocciola. Il guscio o conchiglia della Chiocciola rappresenta il contenente, il ricettacolo, per analogia la matrice, che esprime la fecondità, la gestazione. La forma a spirale della sua conchiglia esprime l’evoluzione ascensione, indicando il moto universale di aspirazione verso l’alto. Una credenza popolare vuole che la Chiocciola fosse un’indovina e conoscesse il futuro; come tale è l’incarnazione della saggezza della precognizione e dell’intelligenza intuitiva.

Grazie alle sue abitudini, il nascondere e uscire dal guscio (una specie di caverna) simboleggiano la resurrezione, quasi come la luna che aumenta e diminuisce. La forma a spirale delle lumache ha permesso di identificare le caratteristiche dinamiche e lo spazio della spirale e il labirinto. In alcune tribù degli indiani d’America gli dei del vento, venivano raffigurati come le lumache, perchè il vento, come i gasteropodi si può nascondere nella sua dimora. Nella cultura dei Maya e degli Aztechi la lumaca è associata alle divinità come il dio della Luna messicana Tekkistekatl.

La spirale in natura
La spirale è senza ombra di dubbio il simbolo più usato nella tradizione Celtica, nella quale troviamo spirali che ornano una miriade di artefatti antichi: nell’arte celtica simbolica, si possono intuire alcuni dei significati simbolici della forza emanata da questa forma geometrica a spirale. In termini di spiritualità, il simbolo della spirale rappresenta il percorso che conduce alla conoscenza del mondo e dell’esistenza (materialismo, la consapevolezza esterna, l’Ego, la percezione verso l’esterno di noi), il percorso che compie l’anima nella sua infinita evoluzione (illuminazione, essenza invisibile, il nirvana, la consapevolezza cosmica). I movimenti tra il mondo spirituale e quello materiale (immateriale e materiale, spirito e corpo, fisicità e impermanenza) vengono mappati dalla spirale tramite gli anelli concentrici connessi a spirale, che segnano l’evoluzioone del genere umano sia su scala individuale che collettiva. Inoltre, in termini di rinascita o di crescita, il simbolo della spirale può rappresentare la coscienza della natura a partire dal nucleo o centro che aumenta espandendosi verso il suo esterno.

Simbologia della Spirale
L’evoluzione e la crescita olistica.
Lasciar andare, la resa, il rilascio.
Consapevolezza all’interno del contesto dell’intero.
La connessione e l’unione con le energie cosmiche e la Divinità.
Le rivoluzioni del tempo, le stelle, i pianeti e la via del progresso naturale.
Penso proprio che gli antichi Celti volessero soprattutto indicare questa connessione con la parte divina del cosmo e l’animo umano, anche perché, a livello sottile, la spirale è un simbolo “femminile” così come la sfera, il cerchio e tutte quelle figure geometriche e non che possiedono linee rotondeggianti, poiché ribadiscono la presenza dell’Utero Divino che, come tale, genera ogni cosa.

Significati Simbolici Spirale
Concentrazione dinamica
Progresso
Direzione
Iniziazione
Centratura
Espansione
Consapevolezza
Collegamento
Cammino
Sviluppo

Provate a dipingere una spirale o più di una e vi accorgerete del suo immenso potere, mentre lo fate usate anche la volontà attiva chiedendo al potere della spirale di “parlare” alla vostra interiorità; sentitevi muovere al vostro interno, nella vostra parte spirituale, come foste una spirale, lasciatevi andare facendovi trasportare da quel movimento spiraliforme. Esattamente come nell’uso dei mandala da colorare, anche se questi hanno un potere nettamente minore rispetto alla parte meditativa attiva interiore, l’idea è quella di perdersi nella grandezza della creazione. Se camminate in un labirinto potete far partecipare tutto il vostro corpo al potere della spirale, così come fanno i Dervisci Rotanti la cui danza rappresenta il cosmo e la connessione con la divinità, che tramite la rotazione a spirale ed ego-centrica, riesce a far raggiungere l’estasi al danzatore che si unisce alla sua parte più interiore. Astrologicamente parlando la spirale descrive il continuo movimento del cosmo, come la scienza ha attestato, così come il movimento a spirale delle galassie.

“La mente umana fa sempre progressi , ma si tratta di un avanzamento a spirali.”
Madame de Stael

Fonti: www.leggere-i-tarocchi-per-crescere.com
www.mitiemisteri.it
www.simbolisignificato.it/

SIMBOLOGIA DELLA CHIOCCIOLA