Browsing Category

Lifestyle

Featured Lifestyle Mind

ESSERE selvaggiamente VIVI

Dicembre 19, 2018

… Non ci sono piú i giusti,

la terra è abbandonata ai malfattori.

A chi parleró oggi?

Al male che colpisce la terra non c’è fine …

 

Sembrano parole di catastrofe.

Queste sono parole o meglio parole che derivano da geroglifici scritti da un poeta africano nel 2000 a.C. circa e che si interroga su valori di giustizia, ricchezza e di bene.

Parla di uomini che schiacciano altri uomini.

Piú tardi, nel 500 a.C. circa, un poeta del popolo ebraico:

Guai a quelli che promulgano decreti

Ingiusti e maligni

E nel redigerli mettono per iscritto

Le leggi dell’oppressione:

per privare i deboli della giustizia

e derubare del diritto i poveri.

 

L’oppressione puó rendere stolto un sapiente.

Tempo prezioso, prezioso tempo. Quanto la digitalizzazione ci sta facendo non vivere? Quanto il nostro tempo è dedito al monitor? Perché non possiamo di nuovo essere vivi? Stare nell’essere.

Continuare a scorrere velocemente miliardi di concetti rapidi meno di un secondo ci porta ad avere alla fine una mente, ma soprattutto uno spirito completamente vuoto, ad essere svuotati delle nostre emozioni.

Sono stati fatti studi approfonditi su questo. La perdita di empatia per via dell’aumentare dei social.

“L’analfabetismo delle emozioni è inseparabile dall’analfabetismo dei pensieri, e ogni analfabetismo passa attraverso l’incapacitá di leggere le parole che cercano di dire il mondo e noi nel mondo: vivere immersi come ipnotizzati nella nube social-narcisa, dove la capacitá di lettura di se stessi e del mondo si degrada, evita le situazioni in cui il narcisismo viene sanamente messo in crisi, e genera difficoltá  a gestire i sentimenti e le passioni con i loro complessi passaggi intermedi. Cosí l’amore, proprio quando la sua ombra spettacolare prospera nella caverna della chiacchierata totalitaria, va incontro al naufragio: perché ogni amore è basato sulla corrispondenza tra due esseri diversi che, nel loro incontrarsi, devono affrontare allo stesso tempo fusione e distruzione, unione e separazione, felicitá e tristezza, per arrendersi alla veritá che non nella ricchezza dell’abbondanza, ma nella povertá del bisogno vive il bimbo divino.”

Un testo, vademecum, molto molto illuminante che ci ricorda “che solo il lettore selvaggio, disposto a lasciarsi cambiare dai libri che incontra, è pronto a nascere e ad amare di nuovo lasciando andare la prigionia del digitale per poter guadagnare in tutta la propria vita se stesso”.

Un vivido inno al lettore, a colui che legge e che non si prende in giro, con finte mancanze di tempo.

La scuola della buona noia vuole produrre analfabeti funzionali che credono in un pensiero unico, in una sola realtá: contro i nemici dell’emozione e dell’intelligenza i lettori selvaggi pensano molte realtá diverse , e leggono poesia, scienza, arte, diritto, sogno. Nessun nemico è onnipotente se smettiamo di essere suoi complici.”

“Allora presto, beviamo e mangiamo con tutti i sensi la bellezza e la veritá che ci sono in Platone, Mozart, Leopardi, Van Gogh, Einstein, Bob Dylan, o saremo grassi di bugie come oche da sgozzare nelle cucine del futuro: i lettori selvaggi sanno che nessuno si salva da solo, che il tempo per salvarsi non c’è mai stato, che il tempo per salvarsi è ora.”

Perché leggere un libro in metropolitana quando tutti hanno la faccia sbattuta sullo schermo? Perché pensare è faticoso, meglio guardare un qualcosa che scorre veloce e che mi fa uscire da me stesso. Oppure meglio chattare. L’autore, con tutto il consenso, si domanda dove siamo arrivati, a che malattia siamo.

“Il tempo che serve non è il tempo dell’orologio, ma il tempo in cui sento che nei libri si parla proprio di me. Non quel me stesso fissato nelle sue sciocchezze, quell’essere abitudinario che conosco troppo bene senza capirlo per niente, no, non lui, ma il me stesso che ignoro ancora, che a volte mi appare in sogno e che in certe sere scopro leggendo.”

Per scampare alla noia abbiamo bisogno dell’amore.

Amare vuol dire entrare ed uscire da una realtá completamente diversa dalla nostra, senza sapere l’arrivo, la meta, come in una esplorazione. Lo stesso è per la lettura.

Non puo’ essere né troppo veloce, perché leverebbe il desiderio e non lascerebbe la corrispondenza tra noi e l’altro, né troppo lento perché ci porterebbe a perdere le speranze.

 Il lettore leggendo lascia un po’ di se stesso per far spazio al protagonista.

Solo questa storia basterebbe a capire quando è e deve essere importante per noi staccarci dalle macchine e tenere con loro unicamente un sano rapporto:

“… E  Socrate comincia a raccontare la storia di un teknikotate, un esperto di tecniche, inventore del calcolo e della geometria e abile nel costruire strumenti per potenziare l’intelligenza. Il tecnoscienziato antico si chiama Theuth, e spiega al re Thamus di aver inventato un “farmaco” per la conoscenza e la memoria: <<Questa conoscenza renderá gli egiziani piú capaci di conoscere e piú capaci di ricordare, perché è stata inventata come farmaco per la conoscenza e la memoria>> dice Theuth, al che Thamus replica: <<O Theuth, supremo esperto in tecnologie, una cosa è la capacitá di pensare e concretizzare una tecnica, un’altra cosa è giudicare il danno e il vantaggio  che quella tecnica potrá portare a chi ne fará uso. Ora tu, che ne sei l’inventore, hai detto, per attaccamento alla tua invenzione, il contrario di ció che quella tecnica del conoscere e del ricordare è in grado di fare. In realtá quella tecnica produrrá dimenticanza nelle menti di quanti la impareranno, perché costoro non eserciteranno piú la memoria …>>.”

Stiamo dando potere alle cose per toglierlo ai nostri cervelli. Leggere il profondo dei libri, delle anime, delle menti, delle persone, dei paesaggi, del cosmo e si anche delle cose, sará la unica salvezza.

Tratto dal libro di Giuseppe Montesano “Come diventare vivi”

D.S.

 

 

Featured Lifestyle Spiritual

La verità: ripulire il ripetersi delle dinamiche nel DNA familiare

Settembre 11, 2018

Vi é una una famiglia nella nostra storia, molto potente ed ammirata, che ha avuto tutto, ma non la pace spirituale, la famiglia Agnelli.

Come è possibile che una famiglia talmente potente dal punto di vista politico, economico e sociale, quale quella degli Agnelli sia divenuta protagonista di cosí tanti piccoli e enormi drammi. Il potere puó tutto, forse… No, quale tipo di potere puó tutto?

La radice del sincero potere sta nella pulizia del cuore e dell’anima. Una dimostrazione concreta di tale affermazione é questa famiglia, ma ce ne sono tante e tante altre con simil sorte.

Si parla  di “sindrome degli antenati”, una teoria della dott.sa Anne Ancelin Schützenberger, secondo cui in maniera inconscia e non volontaria si trasmettono gli eventi irrisolti di generazione in generazione.

Il dramma che lega i membri della famiglia che prendiamo ad esempio, ha una origine a noi nota, (ma potrebbe essere molto piú antica) con Edoardo Agnelli, padre di Clara, Gianni, Umberto, Susanna, Maria Sole, Giorgio e Cristiana. Edoardo, figlio del fondatore della FIAT, Giovanni, è un uomo brillante e affabile, che non riuscirà mai a guidare l’impresa di famiglia, tenuto in pugno dall’autoritario senatore. Edoardo sposa Virginia Bourbon del Monte, erede dei principi di San Faustino e marchesi di Santa Maria, di origine napoletana. Entrambi muoiono in circostanze tragiche: Edoardo all’età di 43 anni, nel 1935, decapitato dall’elica dell’idrovolante del padre in un’incidente aereo. Virginia rimarrà uccisa in un’incidente automobilistico nel 1945, in un frontale con un mezzo dell’esercito americano.

Anche il Senatore Gianni Agnelli, nonno del noto Gianni, fondatore della FIAT, dopo la guerra ha avuto l’enorme dispiacere di vedersi tolto della possibilitá di restare a capo dell’azienda da lui stesso creata per vicissitudini politiche e, al suo funerale, non è stato neanche concesso ai parenti di poter far passare la sua tomba al Lingotto per un ultimo saluto.

Virginia stessa, madre di Gianni Agnelli, donna eccentrica non ha potuto crescere in pace i propri figli perché perseguitata da Gianni Senior, che voleva levarle la potestá sui figli, in quanto ella, a seguito della morte di Gianni, ha intrapreso una relazione con Curzio Malaparte, noto scrittore dell’epoca. Virginia ha dovuto ricorrere a Mussolini per poter riavere con sé i propri figli.

Oltre ad incidenti tragici, la storia della famiglia è stata segnata anche da malattie fisiche e psicologiche improvvise e spesso non preannunciate, che ne hanno ucciso i rampolli. Il fratello dell’Avvocato, Giorgio, è morto a 35 anni, dopo un lungo ricovero in Svizzera. Secondo la compagna, Marta Vio, non ha mai sopportato il fratello maggiore, e i genitori, scomparsi quando i figli erano ancora molto giovani, non hanno mai potuto mediare questo rapporto. Proprio questa conflittualità, unita al peso di appartenere ad una famiglia dalle alte aspettative, sembra abbia accentuato i suoi disturbi mentali.

Giorgio, affetto da schizofrenia, ha avuto vari episodi di violenza contro il fratello Gianni. Secondo la moglie, Giorgio si è suicidato gettandosi dall’ultimo piano della clinica, ma la sorella Maria Sole sostiene che sia stato il fisico debilitato dalle medicine e dalla malattia mentale ad uccidere il fratello.

Edoardo Agnelli, unico figlio maschio dell’Avvocato, è una delle figure più amate della famiglia. Carattere controverso e fascino da “poeta maledetto”, Edoardo, ribelle, insofferente al capitalismo e alla materialismo. Colto e viaggiatore, approfondisce le filosofie orientali e si avvicina al sufismo islamico. Edoardo è un filosofo, un pensatore fine con un profondo interesse per le religioni, e i tentativi della famiglia di inserirlo nella dirigenza delle società Agnelli si rivelarono ben presto fallimentari.

A seguito di problemi con la droga, viene arrestato in Kenya e accusato di spaccio di stupefacenti a Roma. Spacciato su ogni testata giornalistica, dubbi sulla veridicitá di quanto accaduto appaiono su questi episodi, in quanto la piú importante famiglia di Italia era solita riuscire a “bloccare” le notizie definibili scomode.

La sua morte, nel 2000, all’età di 46 anni, ha avuto un forte impatto mediatico. Il suo corpo è stato ritrovato in fondo ad un cavalcavia dell’autostrada Torino-Savona, nella zona di Fossano. Forti le teorie complottiste che negano il suicidio, causa ufficiale del decesso.

Si pensa che lo stesso sia stato indotto al suicidio o sia stato ucciso. Un membro musulmano a capo della Fiat o comunque erede, con di mezzo i finanziamenti forti di una potentissima banca, non poteva essere tollerato.

Giovanni Alberto Agnelli sarebbe stato l’erede designato della famiglia. Figlio di Umberto e di Antonella Bechi Piaggio, dimostra di possedere le doti imprenditoriali necessarie per guidare sia la FIAT che la Piaggio. Dopo gli studi negli Stati Uniti, lavora sotto lo pseudonimo di “Giovannino” Rossi allo stabilimento FIAT di Grugliasco, insieme agli altri operai. Si arruola poi come carabiniere paracadutista. Molto amato dai torinesi, tra i quali era conosciuto proprio con il soprannome Giovannino, viene scelto dallo zio Gianni per guidare l’azienda.

Un fulmineo cancro all’addome lo uccide dopo 9 mesi di lotta con la malattia. A nulla servono le cure più all’avanguardia e la famiglia, disperata, si rivolge anche ad alternative meno scientifiche. Muore a 33 anni, nel 1997, appena 3 mesi dopo aver avuto la primogenita, Virginia Asya, dalla moglie Frances Avery Howe. I funerali si sono svolti in modo molto rapido, secondo le cronache dell’epoca, alla presenza dei parenti più stretti.

La “maledizione” non ha risparmiato nemmeno il ramo americano della famiglia. Clara Agnelli, primogenita di casa Agnelli, e Tassilo von Fürstenberg, suo primo marito, hanno avuto tre figli diventati molto famosi in vari ambiti: Ira, Egon e Sebastian. Proprio Egon, stilista, muore all’età di 58 anni per quella che viene ufficialmente definito un tumore al fegato, 15 giorni dopo lo zio Umberto Agnelli. La prima moglie, la celebre Diane von Fürstenberg, racconta nella sua autobiografia che in realtà è stato stroncato dalla cirrosi epatica, dopo essere stato malato di Epatite C per decenni.

Il figlio di Ira non subirà un destino migliore. Christoph di Hohenhole-Langenburd, soprannominato Kiko, finisce in prigione in Thailandia per aver alterato la data del suo passaporto scaduto. Forse scambiato per un trafficante di droga, viene arrestato dalla polizia e rinchiuso nel carcere di Klong Prem, uno dei più disumani del Paese, in cella insieme ad altri 40 detenuti. A nulla sono valse le visite della madre, che ha tentato di tirarlo fuori di lì in tutti i modi.

Muore pochi giorni dopo, per quello che l’autopsia svoltasi in Thailandia ha identificato come coma diabetico. Christoph aveva passato quella vacanza in una Spa dove aveva fatto una cura dimagrante, e aveva il fisico molto indebolito, ma ci sono forti sospetti che la morte sia stata causata dagli abusi subiti in carcere. Non c’è stato modo di verificarlo, dato che le autorità thailandesi hanno impedito di portare la salma all’estero senza inumazione.

Gli Agnelli sono una delle famiglia più influenti non sono in Italia, ma nel mondo. La nuova generazione è riuscita a realizzare il sogno di Gianni: l’internazionalizzazione della FIAT. Il loro percorso è stato caratterizzato da molti successi e da tante tragedie. La loro storia è racchiusa nel cimitero di Villar Perosa, che si trova poco lontano dal “Castello“, la villa degli Agnelli, che in questo comune alle pendici delle Alpi piemontesi hanno i loro natali.

Nel mausoleo di famiglia sono seppelliti tutti gli Agnelli. Lì ha trovato la pace Giovannino, sepolto vicino al padre e ai fratelli, i gemelli vissuti solo pochi giorni. In quella cappella si è consumato il dolore dell’Avvocato per il figlio Edoardo. La sua lapide si trova tra Umberto e Giorgio, gli zii, e di fronte a quella del padre Gianni Agnelli. In quel mausoleo c’è la storia di una grande famiglia, che ha cambiato il volto all’Italia.

 

“Secondo la teoria degli antenati, le persone proseguono in vita la catena delle generazioni precedenti, pagando un pegno al passato e, fintanto che non si è “cancellato il debito”, una “alleanza invisibile” spinge a ripetere, che se ne sia coscienti o meno, l’evento o gli eventi traumatici, le morti, le ingiustizie e persino le loro eco.”

Spesso accade, infatti che genitori abusati abusino, che figli abbandonati abbandonino a loro volta e figli di genitori traditori tradiscano, o, spesso che figli di morti per cause accidentali trascorrano una vita all’insegna del pericolo.

La studiosa Schützenberger ritiene che “siamo in fondo meno liberi di quanto crediamo”. Possiamo, tuttavia, riconquistare la libertà, percependo i sottili legami che ci tengono ancorati al passato, per poi lasciarli andare. Afferrando questi fili nella loro complessità, potremo così vivere la nostra vita e non quella, dei nostri genitori, nonni o di un fratello morto, che rimpiazziamo, consapevolmente o a nostra insaputa, nella “catena” del nostro albero genealogico.

Quantele famiglie  che si sfasciano per un’eredità o per un lutto?

Lí sicuramente ognuno di noi, riflettendo sul proprio albero genealogico, può “sentire”, “percepire”, “visualizzare”, una qualche disarmonia. Quello è certo un punto su cui portare attenzione.

Anne Ancelin Schützenberger (Mosca, 29 marzo 1919 – Parigi, 23 marzo 2018) è stata una psicologa francese, professoressa emerita all’Università di Nizza, dove ha diretto per oltre vent’anni il laboratorio di psicologia sociale e clinica. È stata altresì cofondatrice dell’Associazione Internazionale di Psicoterapia di Gruppo. La sua esperienza è nota a livello internazionale, soprattutto nell’ambito della psicoterapia di gruppo e dello psicodramma. Ai suoi studi si deve lo sviluppo della tecnica del ‘genosociogramma’: albero genealogico che tiene conto, oltre che dei legami di parentela esistenti, anche del ripetersi di particolari traumi psichici e fisici di generazione in generazione. Il suo lavoro è essenzialmente mirato alla psico-genealogia, alla comunicazione non verbale e ai legami familiari.

Il suo libro “La sindrome degli Antenati”, best-seller in Francia con ben 15 ristampe, rappresenta uno dei testi fondamentali della cosiddetta “psicologia trans generazionale”, una disciplina che si propone di curare malattie fisiche e mentali attraverso lo studio delle storie familiari.

La Schützenberger ha cominciato a notare ricorrenze nelle dinamiche familiari dei suoi pazienti, e indagando, ha scoperto che spesso ci sono vincoli comportamentali che possono essere ricondotti a ciò che è accaduto in vita agli avi. Ricorrenze, situazioni compensative apparentemente inspiegabili, avvenimenti che accadono in coincidenza con certi anniversari, possono essere ricondotti all’esperienza di un antenato che è incorso in una fatalità, gravando così su tutta la catena dei discendenti.

È nostra responsabilità, se vogliamo “svuotare lo zaino dal peso degli antenati”, farci carico di sciogliere questi condizionamenti che influenzando l’inconscio collettivo, lasciando tracce nella memoria delle nostre famiglie.

La storia degli Agnelli è pubblica, spesso è facile risalire alle storie dei nostri avi, a volte invece il nostro albero genealogico contiene delle sfaccettature più complesse. Le trappole, le insidie nascoste nel nostro albero sono spesso rappresentate dal “non sapere” chi siano i nostri avi. Quando non si hanno notizie certe circa l’identità di chi ci ha preceduto, la comprensione risulta più difficile, tuttavia, anche in questi casi c’è un modo per fare chiarezza.

 In ogni caso uno dei concetti primari per la rinascita è quello della ‘lealtà familiare’. Ognuno di noi, inconsciamente, è portato a interiorizzare lo spirito, le domande, le aspettative della propria gense a utilizzare le proprie attitudini per conformarsi alle ingiunzioni interne o interiorizzate. “Se non ci si assume questi obblighi, ci si sente colpevoli”, ha sostenuto Anne, e questo è un punto interessante da considerare per definire noi stessi e noi stessi all’interno di un sistema più ampio.

Spessissimo, nelle famiglie e nei gruppi di appartenenza nascono il senso di colpa e la ribellione sui principi familiari e sociali che giungono dalla struttura del sistema di credenze inconsce, che viene trasmesso in ogni membro della famiglia.

 E’ dunque fondamentale la lealtà invisibile per sciogliere la presunta “competizione” con chi ci precede.

Se un figlio, ad esempio, percepisse e dunque capisse che, superando il livello di istruzione del genitore, diventerebbe una persona riconducibile a una categoria che il genitore odia (ricco, per esempio), il figlio tenderà a non rompere la lealtà invisibile pur di non fare un torto, pur di non creare attriti nell’albero. La promozione sociale/intellettuale/economica rischierebbe di creare divergenze in ambito familiare. Con un atto mancato, il figlio mantiene intatta la barriera di protezione che lo tiene in seno al nucleo, rispondendo inconsciamente al dettame del genitore che inviando un doppio messaggio contraddittorio, dice: “Io faccio di tutto per il tuo successo, lo voglio… ma temo che mi oltrepassi e che ci lasci o ci abbandoni”.

Spessissimo nelle famiglie non si parla di ció di cui non si puó parlare per pudore o vergogna e per evitare di indagare nei sottesi, nel nascosto, nelle ombre. Dunque, si tace sul passato anche.

Tutti intuiscono e nessuno parla e, il silenzio, concepito anche come “forma di rispetto per i defunti, di cui si parla sempre bene dopo il trapasso, tende ad ammantare gli accadimenti familiari sotto una spessa coltre di scuro.”

Si parla quindi di “cripta”e di “fantasma” (nel 1978 due psicanalisti, Abraham e Torok, introdussero il concetto) ossia, quando nel passato familiare vi è qualcosa di tremendo e non tramandabile (stupro, abuso, ingiustizia, tradimento, espropriazioni patrimoniale) – si preferisce nascondere l’evento e la persona che ne è stata protagonista.

Tutto questo crea danni estremi ai discendenti, ad esempio questi inizieranno a fare “qualcosa senza comprenderne la ragione”, l’inconscio e le paure nascoste cominceranno ad avere la meglio su di loro. Essi si sentiranno come posseduti, compiranno delle azioni non solite.

“Questo membro della famiglia conserva, in sostanza, in sé il “non-detto”, e lo incarna come a simboleggiare la presenza che si è invece voluto nascondere.”

La Schützenberger crea lo strumento di analisi del genosociogramma, ossia la ricostruzione analitica dell’albero genealogico, che permette di individuare i collegamenti tra gli elementi di generazioni diverse. In esso possono rientrare anche persone esterne alla famiglia, ma che sono state fondamentali nella vicenda familiare (benefattori, aiutanti, sostituti di ruoli fondamentali o chi ha danneggiato la famiglia, in qualche modo.

Un elemento di analisi molto importante è la coincidenza tra le date di nascita, di matrimonio, di morte, di incidente, dei diversi membri del sistema familiare: Schützenberger riscontra infatti la cosiddetta “sindrome da anniversario”, che si manifesta con l’insorgere di malattie o il verificarsi di incidenti, allo scadere di una certa età, o di una data particolare.

“Logosintesi è un sistema di cambiamento guidato, semplice ed elegante, che trova applicazione nella psicoterapia, nel counselling e nel coaching, ma può essere utilizzata anche come metodo di auto-aiuto. Logosintesi è stata scoperta e sviluppata dallo psicologo svizzero/olandese Willem Lammers nel 2005 e utilizza il potere delle parole per creare un cambiamento duraturo. Le Logocostellazioni sono uno strumento nato in seno a Logosintesi, che aiutano ad entrare in contatto con le percezioni sottili che derivano dagli aspetti disarmonici dell’albero genealogico.”

“Nei primi anni ‘30 del ‘900, il neurologo friulano Giuseppe Calligaris, studia e identifica il modo per stimolare la pelle creando una connessione con l’inconscio. Gli studi di Calligaris, ripresi dagli anni ’90 da Gandini e Fumagalli, fanno parte di una tecnica olistica di straordinaria efficacia che prende appunto il nome di Dermoriflessologia, capace di connetterci con aspetti peculiari del nostro spazio personale e, attraverso i sogni, aiutarci a rielaborare molte dinamiche irrisolte, tra cui anche quelle legate all’albero genealogico.”

La sola consapevolezza crea guarigione, il potere delle parole e la volontá personale al distacco familiare un’altra buona parte. Troppo spesso vi sono casi di distruzione auto o etero indotta per pesi, troppo pesanti familiari. Si pensi ai casi di tossicodipenza, delinquenza, violenza. Troppo spesso una famiglia o un gruppo di legami è segnato da drammi ripetuti e l’apatia alla soluzione non puó che amplificare questi effetti. 

D.S.

 

Rivisto da www.fisicaquantistica.it

Fonte: http://www.armoniaemozionale.it/sindrome-degli-antenati-gli-avi-influenzano-il-futuro/

“Sindrome degli antenati”: gli avi influenzano il nostro futuro?

https://www.thesocialpost.it/2017/06/21/la-maledizione-degli-agnelli/

 

Lifestyle Mind

I benefici del saper cambiare

Luglio 7, 2018

“Fanatico è colui che non può cambiare idea e non intende cambiare argomento”

(Winston Churchill).

“Il saggio dubita spesso e cambia idea. Lo stupido è ostinato, non ha dubbi, conosce tutto fuorché la sua ignoranza”

(Akhenaton).

“Non meno che saper, dubbiar m’aggrada”

(Dante Alighieri).

“Queste sono solo alcune frasi di uomini illustri in vari campi dello scibile, ma di esempi se ne potrebbero fare tanti altri. Uomini come Mandela, che dall’azione violenta e bellicosa sono evoluti nella non violenza e persino nel perdono, insegnano che cambiare idea non solo fa parte di un processo evolutivo psicofisico necessario e quasi naturale, ma che la convivenza e il vivere in società si basano su proprio questa capacità/virtù.  Si potrebbe dire che in un certo senso la coerenza, se usata come unico valore di riferimento, presuppone una condizione di morte. Lasciare passare, entrare, accogliere nuove idee consente di crescere, evolvere acquisire sapere, comprendere concetti e fenomeni, capire, in una parola: vivere. Colui che fa della coerenza il suo baluardo non vive, sta fermo, non si muove in nessuna direzione, è morto.”

 

Noi stessi siamo il Divenire, noi stessi, in quanto esseri umani del pianeta, mutiamo. Quando nasciamo non ricordiamo ció che siamo stati;  alcuni bambini ricordano di loro vite precedenti. Ho sentito bambini raccontare dettagli, oltremodo precisi e chiari in cui loro stessi si trovavano in momenti e luoghi a noi ignoti ora. Dettagli difficilmente definibili semplice fantasia infantile, perché troppo precisi e puntuali nella descrizione. Quei bambini oggi, sono sempre loro stessi, ma con una veste nuova, mutata e differenti, nelle loro diverse vite.

Lo stesso Eraclito ha concepito l’uomo come divenire, inteso come mutamentomovimento, scorrere senza fine della realtà, perenne nascere e morire delle cose, uno dei concetti filosofici più importanti.

Il termine divenire [dal latino devĕnire composto di de (prep. che indica moto dall’alto) e venire (venire) quindi propriamente “venir giù”] in filosofia implica un cambiamento non solo nello spazio, come nel significato originario, ma anche nel tempo.

Per cambiamento si intende avvicendamento, rinnovo, sostituzione.
Col cambio si assume aspetto o natura diversa.
A volte il cambiamento è necessario o inevitabile, in meglio o in peggio, desiderato o temuto.
Un cambiamento rappresenta sempre qualcosa che costringe a fare i conti con se stessi, sconvolge, fa mettere in gioco, fa rivalutare se stessi e gli altri e spesso spiega e fa comprendere il senso della propria vita.

Il lasciare accadere, il lasciare andare, il lasciare che le cose abbiano il loro corso, cosí come il fiume, la cui acqua in quel preciso istante e preciso luogo non è piú la stessa mai nello scorrere nel tempo, è la chiave della salvezza dell’uomo. Se l’uomo cercasse di fermare quell’acqua del fiume sarebbe un uomo morto. Debole e morto. Invece l’uomo che accetta lo scorrimento del fiume e il suo cambiare, non può che trarne benefici.

Per questo decidere di cambiare il proprio punto di vista e parlare agli altri è il primo passo verso il benessere, la libertá e il raggiungimento del principio fondamentale del “chissenefrega cosa si pensa di me”, io vivo, perché cambio, mi adatto al mutamento e non sono statico come nessun corpo organico di questo mondo, esso stesso in mutamento.

 

D.S.

http://ilfangoquotidiano.altervista.org/travaglio-solo-gli-stolti-non-cambiano-mai-idea/

Lucio Dalla, la storia di Cambio e anche un po’ della mia vita

Lifestyle Mind

Zygmunt Bauman, Amore liquido

Dicembre 2, 2017

Quattro lezioni dedicate ad Amore liquidoLiquid Love. On the Frailty of Human Bonds, Cambridge-Oxford, 2003, trad. it., Bari-Roma, Laterza, 2003.

 Che cos’è l’amore liquido

L’eroe di questo libro, dice Bauman nella Prefazione, è «l’uomo senza legami». Così come il celebre personaggio di Musil (l’Ulrich de L’uomo senza qualità) era un soggetto alla ricerca di una identità, senza che nessuna delle qualità acquisite avesse garanzia di durata in un mondo sconcertante e mutevole, il protagonista del saggio di Bauman è l’uomo della modernità liquida, cioè di quella fase dell’età contemporanea che si caratterizza per lo stato mutevole e instabile di ogni sua forma organizzativa (famiglia instabile, ricomposta, multipla, informale; denatalità – lavoro precario, a chiamata, intermittente; ecc.).

Ulrich, l’uomo moderno, è un individuo che può cambiare più identità, senza essere mai davvero “qualcuno”

l’uomo contemporaneo è invece l’uomo senza legami

Secondo Bauman, dunque, se l’uomo senza qualità è il perfetto ritratto dell’uomo moderno, l’uomo senza legami è l’individuo plasmato dalla «modernità liquida», termine con cui l’autore indica quel periodo che dagli anni ’60 in poi è stato indicato da altri studiosi come postmodernità, tarda modernità, capitalismo maturo, modernità riflessiva ecc. [questo dibattito, che qui non affrontiamo, concorda sul riconoscimento di forti cambiamenti sociali ed economici intervenuti a ridosso del secondo dopoguerra, ma si divide sulla prognosi di tale cambiamento e in particolare sull’interpretazione delle trasformazioni nel segno della continuità con il moderno (ipermodernità, tarda modernità) o della rottura con esso, con i suoi fini e ideali (postmodernità)].

Il tema principale della riflessione di Bauman è dunque

«la relazione umana» e la sua sorte in un’età in cui «gli uomini e donne disperati perché abbandonati a se stessi, che si sentono degli oggetti a perdere, che anelano la sicurezza dell’aggregazione e una mano su cui poter contare nel momento del bisogno, e quindi ansiosi di “instaurare relazioni” [sono] al contempo timorosi di restare impigliati in relazioni “stabili”, per non dire definitive, poiché paventano che tale relazione possa comportare oneri e tensioni che non vogliono né pensano di poter sopportare e che dunque possa fortemente limitare la loro tanto agognata libertà di … si, avete indovinato, di instaurare relazioni» (p. VI).

amore-linusLa relazione è dunque il terreno contemporaneo della più grande ambivalenza: deve essere leggera e flessibile per potersi rompere facilmente e dare la possibilità all’individuo contemporaneo di ricostituirsi, ritessersi, mantenendo intatta tutta la potenzialità relazionale di ognuno. In questo modo, ognuno è molto più solo che in passato, ma libero molto più che in passato di tentare forme e sistemi per uscire da questa solitudine.

Sembra, commenta Bauman, che le cose vadano come aveva osservato Heidegger:

«esse si manifestano alla nostra coscienza solo attraverso la frustrazione che provocano (allorché vanno in malora, svaniscono, tradiscono le nostre aspettative o la propria natura)».

Oggi l’attenzione dell’uomo contemporaneo tende a concentrarsi sulle soddisfazioni che le relazioni si spera arrechino, proprio perché per qualche ragione esse sono frustranti (sono fragili e deludono le aspettative di eternità) o sono temute (perché si scopre che quando soddisfano pienamente, il prezzo da pagare per questo appagamento è eccessivo in termini di perdita di libertà, cioè di quel potenziale che si congela ogni volta che inizia una relazione).

Bauman trova conferma nella centralità di interesse per le relazioni nel boom di consulenze che si occupano di curare i legami (counseling, terapia familiare), agenzie matrimoniali, rubriche rosa o per cuori solitari ecc. Secondo l’autore tutte queste consulenze hanno lo scopo di aiutare i singoli a «quadrare il cerchio», cioè a riuscire nel compito impossibile di costringere la relazione a

«dare senza prendere, a offrire senza chiedere, ad appagare senza opprimere» (p. VIII).

leonia

Viviamo tra i resti delle “cose nuove e diverse” che abbiamo amato

È qui che Bauman paragona l’individuo contemporaneo all’abitante di Leonia, una delleCittà invisibili di Calvino, i cui abitanti dichiarano che la loro passione è di «godere di cose nuove e diverse», consegnando al lavoro dello “spazzaturaio”, i resti delle “cose nuove e diverse” di ieri (Cfr. pp. IX-X). La Leonia sprecona sembra a Bauman una metafora calzante dell’ambiguità con la quale si dichiara oggi di desiderare più di ogni altra cosa la relazione, mentre in realtà ci si preoccupa soprattutto di evitare che questi rapporti si stabilizzino e si condensino.

Lo scenario liquido-moderno si presenta così come quello in cui si spera che

«le possibilità romantiche si susseguano a ritmo crescente e in quantità sempre copiosa facendo a gara nel superarsi a vicenda e nel lanciare promesse di essere più soddisfacenti e appaganti» (p. XII).

in questo modo, Amore liquido è dedicato ai rischi e alle angosce del

«vivere insieme e in disparte nel nostro mondo liquido-moderno» [vedi l’intervento di Massimo Recalcati sul tema].

 

Innamorarsi e disamorarsi [primo capitolo]

erich-fromm

Eric Fromm (1900 – 1980)

Che cos’è l’amore? Si chiede allora Bauman. Si tratta di un’esperienza che si può apprendere, un sapere che si può imparare? O forse si tratta di un’esperienza irripetibile e dunque impossibile da imparare?

È una domanda chiave, già affrontata da Fromm. I due autori concordano nel ritenere che una società malata disincentivi i sentimenti di amore e solidarietà umana, ma mentre Fromm, da filosofo, ne propone un’interpretazione antropologica, Bauman, da sociologo, ammette implicitamente che il comportamento umano, incluso quello amoroso, è una costruzione storica, legata alla cultura e alle esigenze sociali del tempo in cui si vive.

Piuttosto che una domanda su che cos’è l’amore, dunque, bisogna chiedersi a quale dinamica risponde il bisogno di amare nel tempo presente? E qui ritrova Fromm:

«la soddisfazione, nell’amore individuale, non può essere raggiunta senza la capacità di amare il prossimo con umiltà, fede, coraggio», ma «in una cultura in cui queste qualità sono rare, l’acquisizione della capacità di amare è condannata a restare un successo raro» (p. 11).

Perciò, osserva Bauman, «in una cultura consumistica come la nostra, che predilige prodotti pronti per l’uso, soluzioni rapide, soddisfazione immediata, risultati senza troppa fatica, ricette infallibili, assicurazione contro tutti i rischi e garanzie del tipo “soddisfatto o rimborsato”, quella di imparare ad amare è la promessa (falsa, ingannevole, ma che si spera ardentemente essere vera) di rendere l’esperienza dell’amore simile ad altre merci, che attira e seduce sbandierando tutte queste qualità e promettendo soddisfazioni immediate e risultati senza sforzi» (p. 11).

Ma l’eros, come ha notato Emmanuel Levinas, è diverso dal possesso e dal potere,

«è una relazione con l’alterità, con il mistero, vale a dire con il futuro, con ciò che è assente dal mondo che contiene ogni cosa che c’è […]», «il pathos dell’amore consiste nell’insormontabile dualità degli esseri». I tentativi di superare tale dualità, di rendere l’ignoto prevedibile, di domare il bizzoso e incatenare il girovago, tutte queste cose sono la campana a morte dell’amore». «L’amore si sforza costantemente di eliminare le proprie fonti di precarietà e di apprensione, ma qualora ci riesca inizia rapidamente ad avvizzire, svanisce» (p. 12).

Inteso in questo modo, l’amore è desiderio. Il desiderio è impulso ad assimilare, possedere, consumare, qualcosa che è fuori di noi e che svanisce non appena tale movimento si realizza. Nella sua essenza è un impulso di distruzione. Al contrario, l’amore è invece il desiderio di prendersi cura e di preservare l’oggetto della propria cura, è espansione e dono di sé.

amore-morto«L’amore consiste nella sopravvivenza dell’io attraverso l’alterità dell’io. E dunque amore significa prepotente desiderio di proteggere, nutrire, riparare, coccolare, accudire, oppure difendere gelosamente. Insomma, anche l’amore, come il desiderio, «è una minaccia per il proprio oggetto. Il desiderio distrugge il proprio oggetto, distruggendo nel processo se stesso; la rete protettiva che l’amore tesse amorevolmente intorno al proprio oggetto amato schiavizza l’oggetto stesso» (p. 16).

Con questa analisi della fenomenologia dell’amore, Bauman sembra avanzare la tesi che il tempo attuale, il liquido-moderno, è sfavorevole all’amore, mentre sembra più adatto al desiderio.

[Mappa]

La voglia prende il posto del desiderio

Solo apparentemente, però: il desiderio ha, infatti, bisogno di distanza, di tempo da consumare per essere messo in scena e vissuto. Il tempo attuale invece celebra l’istante e la soddisfazione, ottenuta prima ancora di desiderare. La voglia,prende così il posto del desiderio.
Bauman analizza allora gli interventi di due psicologhe sulla rubrica settimanale del Guardian che gli sembrano rappresentativi del tipo di consigli si offrono ai cuori solitari nella modernità liquida:

«ogni volta che ti impegni sentimentalmente, per quanto alla leggera, ricordati che stai probabilmente chiudendo la porta ad altre opportunità romantiche (vale a dire che stai abdicando al diritto di “rimetterti a caccia”, almeno fino a quando il partner non reclami per primo tale diritto)» (p. 17).

Desiderio e amore qui si escludono a vicenda. Ma forse, osserva il sociologo, quando si deve commentare il breve flirt, la conquista di una sera, parlare di desiderio è eccessivo.

«Come per lo shopping: oggi chi va per negozi non compra per soddisfare un desiderio […] ma semplicemente per 
togliersi una voglia. Ci vuole tempo, (un tempo insostenibilmente lungo per gli standard di una cultura che aborre la procrastinazione e postula invece il soddisfacimento immediato) per seminare, coltivare, nutrire, il desiderio.

Il desiderio ha bisogno di tempo per germogliare, crescere e maturare. Via via che il “lungo termine” diventa sempre più breve, la velocità con cui il desiderio giunge a maturazione resiste ostinatamente all’accelerazione; il tempo occorrente per ottenere il ritorno dell’investimento della coltivazione del desiderio appare sempre più lungo, lo si avverte esasperante e insopportabile» (p. 17).

«Oggi i centri commerciali tendono ad essere progettati pensando a desideri facili da nascere e rapidi a estinguersi, non all’onerosa e protratta creazione e coltivazione dei desideri. L’unico desiderio che una visita al centro commerciale deve instillare e instilla è quello di reiterare all’infinito l’eccitante momento del lasciarsi andare, del dare briglia sciolta alle proprie voglie senza un copione prestabilito» (p. 18).

«Togliersi una voglia, diversamente dall’esaudire un desiderio, è soltanto un atto estemporaneo, che si spera non lasci conseguenze durevoli che potrebbero ostacolare ulteriori momenti di estasi gioiosa. Nel caso delle relazioni, e delle relazioni sessuali in particolare, seguire le voglie anziché i desideri significa lasciare la porta bene aperta “ad altre opportunità romantiche” le quali, come sostengono le psicologhe del Guardian potrebbero rivelarsi più soddisfacenti e appaganti» (p. 18) (Già André Gide aveva osservato che “scegliere è privarsi”, privarsi cioè delle possibilità non scelte).

«Mentre il principio del togliersi-le-voglie è inculcato a fondo nella condotta quotidiana dai poteri forti del mercato dei beni di consumo, il coltivare un desiderio sembra inquietantemente, inopportunamente, fastidiosamente, propendere dalla parte dell’impegno amoroso. Il desiderio va curato, coltivato, implica una cura prolungata, un difficile negoziato senza soluzioni scontate, qualche scelta difficile e alcuni compromessi dolorosi […] nella sua radicalizzata reincarnazione sotto forma di voglia, il desiderio ha perso gran parte dei suoi attributi fastidiosi […]. Come recitava il messaggio pubblicitario di una famosa carta di credito, oggi “ è possibile eliminare l’attesa dal desiderio”.

Quando è pilotata dalla voglia, la relazione tra due persone segue il modello dello shopping e non chiede altro che le capacità di un consumatore medio, moderatamente esperto. Al pari di altri prodotti di consumo, è fatta per essere consumata sul posto (non richiede addestramento ulteriore o una preparazione prolungata) ed essere usata una sola volta. Innanzitutto, la sua essenza è quella di potersene disfare senza problemi. Se ritenute scadenti o non di piena soddisfazione le merci possono essere sostituite con altri prodotti che si spera più soddisfacenti […] ma anche se mantengono le promesse, nessuno si aspetta da esse che durino a lungo; dopo tutto, automobili, computer o telefoni cellulari in perfetto stato e ancora funzionanti vengono gettati via senza troppo rammarico nel momento stesso in cui le loro versioni nuove e aggiornate giungono nei negozi e divengono l’ultimo grido. Perché mai le relazioni dovrebbero fare eccezione alla regola?» (pp. 19-20).

Tuttavia, si decide ancora di investire nelle relazioni: chi lo fa fa si aspetta prima di tutto sicurezza,

«una mano nel momento del bisogno, un sostegno nel dolore, compagnia nella solitudine, soccorso nei guai, consolazione nella sconfitta e plauso nella vittoria» (p. 21).

Ma avendo abolito l’eternità nelle relazioni affettive e avendola sostituita con l’idea di un investimento remunerativo (in termini di sicurezza, piuttosto che di interesse monetario), la relazione non dà più ciò che promette: cerchiamo sicurezza da qualcuno che ha il nostro stesso obiettivo ma che, come noi, può decidere in qualunque momento di spostare altrove l’oggetto del suo investimento. Per questo

«la relazione amorosa vista come una transazione d’affari non è certo una cura per l’insonnia […] la solitudine genera insicurezza, ma altrettanto sembra fare la relazione sentimentale. In una relazione puoi sentirti altrettanto insicuro di quanto saresti senza di essa, o anche peggio. Cambiano solo i nomi che dai alla tua ansia» (p. 22).

Stock Market Discussion

viviamo l’amore secondo la cifra del nostro tempo, come un investimento temporaneo che deve essere massimamente remunerativo

violenza-donneQuando le persone si sentono insicure, osserva Bauman citando uno psicologo esperto matrimonialista,

«tendono a comportarsi in modo non costruttivo, tentando o di compiacere o di controllare o forse addirittura venendo alle mani – tutti sistemi che probabilmente non fanno altro che allontanare la persona amata. Una volta insinuato il tarlo dell’insicurezza, la navigazione non è mai sicura, ragionata, tranquilla. Senza timone, la fragile zattera della relazione ondeggia sui due nefasti scogli su cui tanti rapporti si infrangono: sottomissione totale e potere totale, accettazione supina e prevaricazione arrogante, rinuncia alla propria autonomia e distruzione dell’autonomia del partner. L’infrangersi contro uno qualsiasi di questi scogli farebbe affondare finanche una nave in perfette condizioni e con un equipaggio esperto, figuriamoci una zattera con a bordo un marinaio inesperto che, cresciuto nell’epoca dei pezzi di ricambio, non ha mai imparato l’arte della riparazione. Nessuno dei marinai di oggi perderebbe tempo a riparare la parte danneggiata, ma la sostituirebbe con un’altra identica. Sulla zattera delle relazioni tuttavia non ci sono ricambi disponibili» (pp. 23-24).

L’analisi di Bauman prosegue qualche pagina oltre intorno alle cosiddette coppie semi-libere,

«questi rivoluzionari delle relazioni che hanno fatto esplodere la bolla soffocante della coppia. Si tratta di coppie nelle quali i due partner preferiscono mantenere i loro appartamenti, conti in banca e cerchia di amici e nelle quali il matrimonio vecchio stile è sostituito da un modello flessibile, part-time di stare insieme. Su questo fenomeno, gli esperti sono divisi: si oscilla da una entusiastica approvazione del modello visto come la realizzazione della “quadratura del cerchio” di un genuino dare e avere senza pagare il pedaggio della perdita di indipendenza, all’accusa di codardia: il rifiuto di affrontare le prove e le difficoltà che la creazione di una coppia stabile comporta» (p. 52).

 Dentro e fuori la cassetta degli attrezzi della socialità [secondo capitolo]

amore-ebook-cover

soggetti fallici

La tesi che Bauman difende a proposito delle forme contemporanee della sessualità è che, così come la modernità liquida sembra aver sgretolato la relazione sentimentale, così ha anche snaturato la sessualità fino a farla diventare problema, piuttosto che opportunità di piacere e soddisfazione per l’uomo moderno.

Come osserva Bauman,

«il desiderio sessuale era e resta […] sociale. Esso si protende verso un altro essere umano, eisge la presenza di un altro essere umano e si sforza di forgiare tale presenza in un’unione. Anela l’aggregazione, rende ogni essere umano, per quanto completo e per alti aspetti autosufficiente, incompiuto e monco – a meno che non sia unito a un altro essere umano» [p. 53].

E’ perciò soprattutto a partire da questo capitolo che il sociologo getta una sguardo preoccupato sulle forme della socialità che si esprimono nell’età contemporanea, forme che tradiscono un’incapacità crescente degli individui di uscire da sé e trovare modi gratificanti di aggregazione. Di tale disagio è indice anche la sessualità che

«non compendia più l’ideale di piacere e felicità. Non è più mistificato, in senso positivo come estasi e trasgressione, quanto piuttosto, in senso negativo, come causa di oppressione, ineguaglianza, violenza, abuso e infezione letale» [p. 54].

Il sesso sembra diventato il regno non più di Eros, ma del suo vendicativo fratello Anteros, il dio dell’amore respinto. Sotto gli auspici di questa divinità – prosegue Bauman, insistendo nella metafora mitologica – le passioni devono essere messe al bando e il sesso viene proclamato un’azione razionale, calcolata, dettata da regole ferree: il risultato?:

«Oggi tutti sono al corrente e nessuno ha la più pallida idea» [p. 54].

L’uomo contemporaneo è fecondazione-assistitaorfano di Eros. Proprio per questo, il sesso è medicalizzato e fa si che ci si rivolga sempre più spesso al terapeuta. Ci si cura per le patologie della propria vita sessuale e della propria fecondità.

«Oggi la medicina compete con il sesso per la responsabilità sulla “riproduzione”».L’affascinante prospettiva, appena dietro l’angolo – ironizza Bauman – «di scegliere un figlio da un catalogo di attraenti donatori, allo stesso modo in cui i consumatori contemporanei sono abituati a fare ordinativi tramite le aziende di vendita per corrispondenza o le riviste di moda e avere quel figlio scelto da loro nel momento scelto da loro» [p. 56].

nonno

un tempo i figli erano un ponte sull’immortalità

C’è stato un tempo in cui i figli erano ponti tra mortalità e immortalità, tra la vita dell’individuo orribilmente breve e una durata auspicabilmente infinita della stirpe. Morire senza figli voleva dire non costruire mai più tale ponte. Con la nuova fragilità delle strutture familiari, con l’aspettativa di vita di molte famiglie più breve di quella dei suoi singoli membri, fare un figlio diventa sempre più spesso una questione di scelta – ma di una scelta revocabile – un figlio può essere un ponte verso qualcosa di più durevole. Ma di cosa? Di un rapporto genitore-figlio più stabile di quello della coppia genitoriale?

utero-in-affitto

si possono scegliere da catalogo le caratteristiche del donatore e della madre surrogata

 

 

 

 

Secondo Bauman i figli oggi «sono prima di ogni altra cosa e più di ogni altra cosa, oggetti di consumo emotivo» [p. 58]. Gli oggetti di consumo soddisfano i bisogni, desideri o capricci del consumatore e altrettanto fanno i figli. I figli sono desiderati per la gioia dei piaceri genitoriali che si spera arrecheranno, il tipo di gioie che nessun altro oggetto, per quanto ingegnoso o sofisticato, può offrire.

I figli sono probabilmente gli acquisti più costosi che i consumatori medi compiono in tutta la loro vita. Cosa ancora peggiore, è probabile che il costo totale aumenti nel corso degli anni e il suo volume non può essere determinato anticipatamente, né calcolato con qualche grado di certezza. Ma, in un mondo che non offre più carriere sicure e lavori stabili, per tutti quelli che passano da un progetto all’altro e che in questo modo si procurano da vivere, firmare un contratto ipotecario con termini di pagamento di entità segreta e durata indefinita significa esporsi a un rischio altissimo e a una prolifica fonte di ansie e di paure. Inoltre, oggi avere figli è una questione di libera scelta, non una casualità, circostanza questa che accresce ancora di più l’ansia.

«”Mettere su famiglia” è come tuffarsi testa in giù in acque sconosciute di cui non si conosce la profondità: Abbandonare o posticipare altre seducenti gioie di un’attrazione consumistica ancora mai provata»,

ma non è l’unica conseguenza. Avere figli significa assumersi la responsabilità del benessere di un’altra creatura più debole e indifesa. L’autonomia delle proprie scelte è destinata ad essere compromessa, reiteratamente, anno dopo anno, quotidianamente:

«si corre il rischio di diventare, orrore degli orrori, “dipendente”» [vedi Massimo Recalcati, Incubi della modernità: madri narciso e madri coccodrillo].

Avere figli potrebbe comportare l’esigenza di ridurre le proprie ambizioni professionali, di “sacrificare al carriera”, in quanto chi è chiamato a giudicare il rendimento professionale di una persona, non vedrebbe di buon occhio il benché minimo segnale di fedeltà separate. Ma la cosa più grave e dolorosa di tutte per l’uomo contemporaneo è accettare questa dipendenza per un tempo indefinito, assumere un impegno irrevocabile a tempo indeterminato: è il tipo di obbligo che mal si confà al modo di vivere liquido-moderno.

«Acquisire la consapevolezza di un tale impegno può rivelarsi un’esperienza traumatica: depressione post-parto e crisi coniugali (o di convivenza) dopo la nascita di un figlio appaiono mali prettamente liquido-moderni, allo stesso modo dell’anoressia, della bulimia e di innumerevoli forme di allergia. Le gioie dell’essere genitori, fanno insomma parte di un pacchetto tutto compreso, contenente anche le pene dell’autosacrificio e le paure di ignoti pericoli»:

né la clausola soddisfatti o rimborsati, né la promessa di un servizio di assistenza post-vendita fanno parte dell’evento nascita-di-un-figlio.

«In conclusione: l’ormai ampiamente riconosciuta separazione del sesso dalla funzione riproduttiva è assistita dal potere. E’ un prodotto congiunto dello scenario di vita liquido moderno e del consumismo quale strategia scelta e unica disponibile di “cercare soluzioni biografiche a problemi prodotti dalla società”. È la mescolanza di questi due fattori che sottrae le questioni della riproduzione e del parto all’ambito sessuale e le consegna ad una sfera affatto diversa, guidata da una logica e da regole totalmente avulse dall’attività sessuale». «Come a voler anticipare il modello che avrebbe prevalso ai nostri tempi, Erich Fromm tentò di spiegare l’attrattiva del “sesso in quanto tale”(sesso fine a se stesso, sesso praticato separatamente dalle sue funzioni ortodosse), definendo la sua qualità una risposta (fuorviante) all’umanissimo “desiderio di una fusione completa” attraverso una “illusione di unione” [p. 62].

Unione: è esattamente ciò che uomini e donne cercano, cercando disperatamente di sfuggire alla solitudine.

Illusione: perché l’unione raggiunta nel breve momento dell’apice orgasmico

«lascia gli estranei distanti esattamente come lo erano prima» cosicché «essi avvertono il loro estraneamento in modo ancora più marcato di prima» (le citazioni sono di Fromm). In tale modo, secondo Fromm, l’orgasmo sessuale «assume una funzione che lo rende non molto diverso dall’alcolismo e dalla tossicodipendenza». Al pari di questi, esso è intenso, ma «transitorio e periodico». L’unione è illusoria, secondo Fromm, e il sesso destinato a rivelarsi frustrante, a causa della separazione dall’amore (ovvero, sottolinea Bauman, da una dedizione intenzionalmente duratura, a tempo indefinito, verso il benessere del partner). Ancora per Fromm, «il sesso può essere solo uno strumento di genuina fusione, anziché essere un’effimera, ingannevole e in ultima analisi autodistruttiva impressione di fusione, grazie alla sua comunione con l’amore. Qualunque capacità di generare unione il sesso possa possedere, deriva dalla sua stretta connessione con l’amore» [p. 63]».

«Come a voler anticipare il modello che avrebbe prevalso ai nostri tempi, Erich Fromm tentò di spiegare l’attrattiva del “sesso in quanto tale” (sesso fine a se stesso, sesso praticato separatamente dalle sue funzioni ortodosse), definendo la sua qualità una risposta (fuorviante) all’umanissimo “desiderio di una fusione completa” attraverso una “illusione di unione” [p. 62].

 

Secondo Bauman, però,

«dai tempi di Fromm, l’isolamento del sesso dagli altri regni della vita è progredito più rapidamente che mai» [p. 63].

carrello-spesa

la merce e il consumo sono il quadro simbolico entro cui viviamo ogni aspetto della nostra vita moderna, come aveva intuito già Marx

Per questo ci si attende oggi che il sesso sia autonomo e autosuffciente, che la performance sessuale il più alto grado di perfezione e che arrechi il più alto grado di soddisfazione. Ma in questo modo, esso è diventato paradossalmente sempre più insoddisfacente: non regge al’esame delle alte aspettative ed è esso stesso fonte di frustrazione e ansia. La vittoria del sesso nella «guerra di indipendenza» dalle altre relazioni umane è dunque una vittoria di Pirro. E’ una vittoria nella quale il sesso si presenta come aspirazione alla felicità senza legami, libera da effetti collaterali, una felicità del genere «soddisfatti o rimborsati», ovvero una felicità che è la massima incarnazione della libertà liquido-moderna: una libertà di consumare (dopo quella del “sapiens” siamo all’era dell’homo consumens).

«La vita del consumatore predilige la leggerezza e la velocità, nonché la novità e la varietà che si spera leggerezza e velocità stimolino e facilitino. Di norma, l’utilizzabilità di un prodotto sura ben più a lungo dell’attrattiva che esercita agli occhi del consumatore. Ma se usato troppo a lungo, il prodotto acquistato ostacola la ricerca di varietà e a ogni successivo utilizzo la vernice della novità si deteriora e si scrosta» [p. 69].

Il matrimonio è la negazione di un uso ottimale delle proprie risorse sessuali in quanto costituisce un patto di esclusiva e di durevolezza della relazione. In questo clima, emergono nuove abitudini e nuovi modi di coniugare l’esclusività della relazione e la massima soddisfazione nella variazione del partner: lo scambismo, la pratica di scambiarsi il partner per una sera, sembra andare per la maggiore nelle grandi metropoli del nord. Esso infatti, sembra avere tutti i vantaggi e nessuno degli svantaggi della nuova relazione liquido-moderna: non è un adulterio (che minerebbe la stabilità della coppia incrinando la fiducia reciproca dei coniugi) poiché i coniugi sono informati e consenzienti dell’azione del partner e la riproducono nel medesimo tempo: il ménage à quatre sembra più efficace del ménage à trois.

Freud

Sigmund Freud (1856 – 1939)

A questo punto la riflessione di Bauman si sofferma sulla definizione del rapporto tra sesso e civiltà di Freud. Come si ricorderà, secondo Freud, sessualità e civiltà, libido e società, sono incompatibili: la civiltà sorge sulle energie sublimate degli uomini che rinunciano a scaricare sulla sessualità la loro energia vitale. Questa lettura freudiana era alla base della critica radicale che lo studioso muoveva allasocietà moderna, vista come una società essenzialmente repressiva, i cui luoghi di controllo e dominio sono stati individuati molto più tardi, dagli studiosi degli anni ’70(tra cui Foucault, Deleuze e Lyotard) nella fabbrica, nella scuola, nel carcere (cioè nelle foucaultiane istituzioni disciplinari). E’ a questo insieme di studi che Bauman fa implicitamente riferimento quando osserva:

«dopo l’era in cui l’energia sessuale doveva essere sublimata per tenere in funzione la catena di montaggio della fabbrica di automobili, è giunta l’era in cui c’è stato bisogno che l’energia sessuale venisse nutrita, lasciata libera di scegliere qualsiasi canale di sfogo disponibile e incoraggiata a dilagare, di modo che le automobili che lasciavano la catena di montaggio potessero essere desiderate come oggetti sessuali».

«Sembra che il legame tra la sublimazione dell’istinto sessuale e al sua repressione, da Freud ritenuto una condizione indispensabile di qualunque ordinamento sociale regolato, si sia spezzato. La società liquido moderna ha trovato un modo di sfruttare la propensione/disponibilità dell’uomo a sublimare gli istinti sessuali senza ricorrere affatto alla loro repressione. Ciò si è verificato grazie alla progressiva deregolamentazione dei processi di sublimazione che mutano perpetuamente direzione, guidati dalla seduzione degli oggetti del desiderio sessuale in offerta anziché da qualsiasi pressione coercitiva» [p. 80].

La diagnosi di Bauman si accorda su questo punto, con quella dei filosofi post-modernisti quali Deleuze e Lyotard, secondo i quali a partire dalla frattura socio-economica dei primi anni ‘60, staremmo abbandonando le foucaltiane società disciplinari per entrare nelle società di controllo: il postmoderno si qualifica infatti per l’allentamento del controllo-dominio centralizzato a vantaggio di un controllo capillare, reticolare e decentralizzato di cui la rete internet rappresenta la metafora per eccellenza, a cavallo tra l’onnipresenza della telecamera (il grande fratello, ovvero il massimo controllo del panottico ovunque) e la moltiplicazione delle possibilità espressive (dunque di libertà) di ognuno.

 Conclusione [mia]

Jacque Lacan

Jacques Lacan (1901 – 1981)

Il superamento postmoderno della dinamica edipica di costruzione dell’Io e dell’epoca delle nevrosi (l’epoca di Freud e della psicanalisi), ha aperto l’epoca delle psicosi, in cui gli individui non riescono più a costituirsi come soggetti e non soffrono più dunque, della repressione del desiderio, ma dell’inesistenza del principio di senso della realtà, cioè dell’Io. E’ l’individuo lacaniano del discorso del capitalistaè l’uomo senza inconscio di Recalcati.

[Elaborazione dagli atti di un convegno dell’Università di Bergamo] L’espressione «discorso del capitalista» è dello psicanalista Jacques Lacan. La sua tesi è che il fondamento ideologico e culturale del capitalismo sia un discorso dello slegame, della proliferazione della frammentazione e della precarietà della condizione esistenziale e sociale.

Egli rovescia l’ipotesi di Max Weber, che trova la genesi spirituale del capitalismo nell’ascetismo protestante, nella rinuncia e nel sacrificio di sé. Il «discorso del capitalista» esalta il godimento a scapito di ogni forma di legame. Il sacrificio di sé tipico dei primi capitalisti, è annullato dall’imperativo del consumismo, inteso come consumo di consumo. Dopo due secoli di incontrastato sviluppo, Lacan intuisce che il capitalismo non è solo uno dei modi più potenti di trasformare la società, da feudale a industriale, da contadina a urbana, da nazionale a globale, ma è un discorso che frantuma le relazioni affettive e solidali.

Massimo Recalcati

Massimo Recalcati

Il «discorso del capitalista», più di ogni altro, impoverisce la complessità del presente e le nostre qualità mentali. Pone dei forti limiti a quell’immaginazione creativa necessaria per interpretare in modo evolutivo le trasformazioni in corso. Il «discorso del capitalista» è una manifestazione del pensiero positivista monocausale. Espressione di una visione dell’agire sociale unidimensionale, esso rimanda agli schemi dualistici tipici della modernità (comunità/società, civiltà/cultura, Stato/società civile, normale/patologico), che hanno operato una riduzione drastica della complessità sociale e culturale.

Il «discorso del capitalista» è dunque immediatamente produttore di realtà, della quale si osservano le derive dell’utilitarismo, della crisi della gerarchia, della mercificazione, della “liquefazione” dei rapporti e delle regole, dei processi di normalizzazione e standardizzazione, ecc. Il pervertimento dell’utile, ad esempio, indica che, nell’attribuire un valore all’azione sociale, l’utile è il singolo parametro, che annichilisce qualsiasi altra dimensione dell’agire. Bellezza, giustizia, solidarietà, evaporano, assumendo la fumosità retorica delle buone intenzioni. Nella relazione con l’altro diventa prioritario avere un congruo tornaconto e le relazioni sociali tendono ad assumere un valore strumentale. Non solo l’utilità è assunta a valore, ma anche l’idea di performance efficiente è centrale, nel senso della velocità con cui si deve ottenere ciò che serve [da vent’anni la scuola sta cambiando in questa direzione: smettendo di preoccuparsi della crescita integrale degli studenti e adottando criteri di mera misurazione dell’adeguatezza a singoli compiti. NDR]. I contesti sociali richiedono una velocità di esecuzione degli obiettivi imposti o sollecitati che lascia poco tempo per ritardi, eventi gratuiti, momenti di socialità, di ascolto e di condivisione, ecc. Oltre all’utilità, e alla velocità, è richiesto di rispondere a standard rigorosi, che stabiliscono criteri universali per essere più veloci ed efficienti nel raggiungimento dei risultati.

Amelia,. la segretaria artificiale

Amelia,. la segretaria artificiale

La metafora millsiana del “docile robot” rende immediatamente il significato che si tende ad attribuire all’ottimizzazione dei processi produttivi.

È l’inumano tecnologico riproducibile in modo seriale, dove la dimensione sociale e artigianale del lavoro rischia continuamente di essere ridotta a procedura standardizzabile e anonima. L’umano del gesto tende trasformarsi in una componente meccanica riproducibile, impersonale, volta alla veloce precisione di un gesto utile e puntuale, che non si può permettere approssimazioni o improvvisazioni fuori dagli schemi protocollati. Restano forse spazi e tempi nuovi, inesplorati, in cui l’umano possa esprimersi con tutta la sua spontaneità, fragilità, consapevolezza. Al di fuori del gergo dell’ossessivo, dell’utile, del performativo, gli ambiti generativi della socialità, della giustizia, della prossimità forse possono ancora essere frequentati. Un forse che non è semplicemente avverbio dubitativo, ma è – come disse una volta André Neher – un “teologumeno”, appiglio sottile ma sublime su cui il discorso del capitalista si infrange, pietra d’inciampo su cui provare a modulare un’andatura nuova. Non pascersi nel vittimismo significa anche mantenere vigile l’attenzione, la “preghiera spontanea dell’anima”, verso le occasioni di riscatto, di nuovo inizio.

Fonte: http://gabriellagiudici.it/zygmunt-bauman-amore-liquido/

Featured Lifestyle Spiritual

Imparare l’accettazione dal Giappone

Maggio 29, 2017

Per i giapponesi, trovarsi sprovvisti di tutto in un determinato momento della propria vita può rappresentare un’occasione per avviarsi verso la luce di un’incredibile conoscenza. Accettare la propria vulnerabilità è una forma di coraggio ed il meccanismo che avvia la sana arte della resilienza, con cui non perdere mai la prospettiva o la voglia di vivere.

Dopo i bombardamenti atomici su Hiroshima e Nagasaki, nella lingua giapponese si è cominciata a diffondere un’espressione che, in qualche modo, ha acquisito di nuovo una notevole trascendenza dopo il disastro dello tsunami dell’11 marzo 2011. Questa espressione è “Shikata ga nai” e significa “non c’è rimedio, non c’è alternativa o non c’è niente da fare”. 

L’accettazione è il primo passo verso la liberazione. Non ci si può svestire del tutto della pena e del dolore, è chiaro, ma dopo aver accettato quanto accaduto, si permetterà a se stessi di avanzare recuperando un elemento essenziale: la volontà di vivere.

“Shikata ga nai” o il potere della vulnerabilità

Dopo il terremoto del 2011 ed il conseguente disastro nucleare nella centrale di Fukushima, sono molti i giornalisti occidentali che viaggiano fino al nord-ovest del Giappone per scoprire in che modo persistono le tracce della tragedia e come la gente sta riuscendo, poco a poco, a riemergere dal disastro. È affascinante capire come si affronta il dolore della perdita e l’impatto di vedersi sprovvisti di quella che, fino a quel momento, era stata la propria vita.

Tuttavia, e per quanto sembri strano, i giornalisti che fanno questo lungo viaggio rientrano nel loro paese con qualcosa che va oltre il semplice reportage. Non solo testimonianze e fotografie impattanti. Rientrano con la saggezza della vita, tornano alla routine del loro mondo occidentale con la chiara sensazione di essere cambiati dentro. Un esempio di questo coraggio esistenziali ci viene offerto dal signor Sato Shigematsu, il quale nello tsunami ha perso sua moglie e suo figlio.

Ogni mattina scrive uno haiku. Si tratta di un componimento poetico composto da tre versi nel quale i giapponesi fanno riferimento a scene appartenenti alla natura o alla vita quotidiana. Il signor Shigematsu trova un grande sollievo in questa abitudine e non esita a mostrare ai giornalisti uno di questi haiku:

“Sprovvisto di proprietà, nudo

Tuttavia, benedetto dalla Natura 

Accarezzato dalla brezza estiva che ne segna l’inizio.”

Come spiega loro questo sopravvissuto e, al tempo stesso vittima, dello tsunami del 2011, il valore di abbracciare ogni mattina la sua vulnerabilità tramite un hiku gli permette di connettersi molto meglio con se stesso per rinnovarsi, così come fa la natura stessa. Comprende anche che la vita è incerta, implacabile a volte. Crudele quando lo vuole.

Ad ogni modo, imparare ad accettare quanto accaduto o dire a se stesso “Shikata ga nai” (accettalo, non c’è rimedio) gli permette di mettere da parte l’angoscia per concentrarsi sull’aspetto necessario: ricostruire la sua vita, ricostruire la sua terra. 

Il detto “Nana-Korobi, Ya-Oki” (se cadi sette volte, alzati otto) è un vecchio proverbio giapponese che riflette questo ideale di resistenza così presente praticamente in tutti gli aspetti della cultura nipponica. È possibile vedere questa essenza di superamento nei loro sport, nel loro modo di condurre gli affari, di impostare l’educazione o, persino, nelle loro espressioni artistiche.

“Il guerriero più saggio e forte è provvisto della conoscenza della sua stessa vulnerabilità”
Condividere

Bene, adesso bisogna sottolineare che ci sono importanti sfumature in questo significato di resistenza. Comprenderle ci sarà di grande utilità e, al tempo stesso, ci permetterà di avvicinarci ad un approccio più delicato ed ugualmente efficace per quando dovremo affrontare un’avversità. Vediamolo nel dettaglio.

Le chiavi della vulnerabilità come metodo per raggiungere la resistenza vitale

Secondo un articolo pubblicato sul “Japan Times“, praticare l’arte dell’accettazione o del “Shikata ga nai” genera cambiamenti positivi nell’organismo della persona: si regola la tensione arteriosa e si riduce l’impatto dello stress. Accettare la tragedia, entrare in contatto con la nostra vulnerabilità presente ed il nostro dolore è un modo di smettere di lottare contro qualcosa che ormai non può cambiare.

  • Dopo il disastro dello tsunami, la maggior parte dei sopravvissuti che potevano mantenersi da soli, hanno iniziato ad aiutarsi gli uni con gli altri seguendo il lemma “Ganbatte kudasai” (non bisogna darsi per vinti). I giapponesi comprendono che per affrontare una crisi o un momento di grande avversità, bisogna accettare le proprie circostanze ed essere di utilità sia per se stessi sia per gli altri.
  • Un altro aspetto interessate su cui soffermarci è il loro concetto di calma e pazienza. I giapponesi sanno che ogni cosa ha i suoi tempi. Nessuno può riprendersi da un giorno all’altro. Il recupero di una mente e di un cuore richiede tempo, molto tempo, così come richiede tempo ricostruire un paese, una città o una nazione intera.

È necessario, dunque, essere pazienti, prudenti, ma al tempo stesso persistenti. Perché non importa quante volte ci faccia cadere la vita, il destino, l’infortunio o la sempre implacabile natura con i suoi disastri: la resa non deve mai adoperarsi della nostra mente. L’umanità resiste e persiste sempre, impariamo, quindi, da questa saggezza utile ed interessante regalataci dalla cultura giapponese.

Fonte: https://lamenteemeravigliosa.it/arte-giapponese-vulnerabilita/

Lifestyle Spiritual

Impara a lasciare che le cose accadano

Aprile 7, 2017

 

Dobbiamo imparare a lasciarci andare, perché ogni cosa avviene a suo tempo. Non hai bisogno di ulteriori motivazioni. Non hai bisogno di essere ispirato ad agire. Non hai bisogno di leggere nessun’altra lista o post che ti ricordi che non stai facendo abbastanza. Ci comportiamo come se, leggendo abbastanza articoli e citazioni di Pinterest, improvvisamente un piccolo interruttore nel nostro cervello ci mettesse in moto. Ma, onestamente, ecco una cosa di cui nessuno parla mai in fatto di successo, motivazione, forza di volontà, obiettivi, produttività e tutte quelle parolone che negli ultimi tempi sono diventate popolari: sei come sei, fino a quando non lo sei più. Cambi quando vuoi cambiare.

Metti in pratica le tue idee nel momento migliore. È proprio così che succede. E ciò di cui ritengo tutti noi abbiamo bisogno, più di qualsiasi altra cosa, è questo: il permesso di essere in ogni momento quel che siamo. Non sei un robot. Non puoi semplicemente tirare fuori dal cilindro la motivazione quando non ce l’hai. Qualche volta attraversi un periodo particolare. Qualche volta la vita si è manifestata. Vita! Te ne ricordi? Certo, ti insegna delle cose e qualche volta ti fa percorrere la strada più difficile affinché tu possa apprendere le lezioni più importanti. Ma non puoi avere il controllo su tutto. Puoi svegliarti ogni giorno alle 5 del mattino fino a quando non sarai stanco ed esaurito, ma se le parole o il disegno o le idee non hanno intenzione di concretizzarsi, non lo faranno. Puoi iniziare ogni nuovo giorno con le migliori intenzioni, ma se non è il momento giusto, non è il momento giusto e basta.

Devi concederti il permesso di essere un essere umano.

Qualche volta il racconto non è pronto per essere scritto perché non hai ancora avuto l’ispirazione per il tuo personaggio principale. Qualche volta hai bisogno di due anni di esperienza in più prima di poter trasformare il tuo capolavoro in qualcosa che agli altri sembrerà reale, vero e concreto. Qualche volta non ti innamori perché qualsiasi cosa tu debba apprendere riguardo a te stesso può essere imparata solamente attraverso la solitudine. Qualche volta non hai ancora incontrato il collaboratore decisivo. Qualche volta la tristezza sembra avvolgerti perché, un giorno, diventerà la base sulla quale costruire la tua vita. Lo sappiamo tutti:

la nostra esperienza non potrà mai essere manipolata.

Eppure non ci comportiamo come se conoscessimo questa verità. Siamo così duramente impegnati nel tentare di manipolare e controllare le nostre vite da far diventare la creatività un gioco a cui è obbligatorio vincere, da cercare una scorciatoia per il successo perché gli altri l’hanno fatto, e da metabolizzare le emozioni e le incertezze come se queste fossero dei percorsi lineari. Non puoi governare il sistema della tua vita. Semplicemente non puoi. Non puoi riuscire a controllare ogni possibile esito o aspetto in modo da non cedere mai all’incertezza e all’imprevedibilità legate a qualcosa che esula dalla tua comprensione. È il fondamento della presenza: mostrarti come sei in questo momento, e fare in modo di accontentartene. Tuttavia non ci comportiamo in un modo che supporti questo stile di vita. Riempiamo ogni nostro minuto con strumenti per la produttività e leggiamo liste dei 30 motivi per cui è meglio escludere i naturali impulsi umani. Spesso ci dimentichiamo che siamo come siamo, finché non lo siamo più. Rimaniamo uguali fino a quando non cambiamo. Possiamo compiere piccoli passi in avanti adottando abitudini salutari e atteggiamenti di vita che incoraggino la crescita, ma non possiamo barare sulle tempistiche.

Il tempo è una cosa alla quale spesso dimentichiamo di rassegnarci.

Le cose appaiono oscure fino a quando non lo sono più. La maggior parte della nostra infelicità deriva dalla convinzione che le nostre vite dovrebbero essere diverse da ciò che sono. Crediamo di avere il controllo – e l’avversione e il disprezzo che proviamo per noi stessi scaturiscono dall’idea che dovremmo essere in grado di cambiare la situazione, che dovremmo essere più ricchi o più attraenti o migliori o più felici. Anche se l’autoresponsabilizzarsi permette di crescere personalmente, spesso può portare a questo scontento e amarezza che nessuno di noi ha bisogno di portare con sé. Dobbiamo impegnarci al massimo e poi concederci il permesso di lasciare che accada quel che accada – senza sentirci legati tanto direttamente e vulnerabilmente ai risultati. Le opportunità spesso non si presentano nei modi che ipotizziamo. Non hai bisogno di ulteriori motivazioni o ispirazioni per creare la vita che vuoi. Hai bisogno di provare meno vergogna per l’idea che non stai facendo del tuo meglio. Devi smettere di ascoltare persone che si trovano in circostanze e momenti della vita completamente diversi dai tuoi, e che ti dicono che semplicemente non stai facendo abbastanza o che non sei abbastanza.

Devi lasciare che il tempo faccia il suo dovere.

Devi considerare le barriere come delle lezioni. Devi comprendere che ciò hai ora potrà diventare ispirazione poi. Devi renderti conto che chiunque tu sia adesso diverrà la tua identità in futuro. Qualche volta non siamo ancora le persone che avremmo bisogno di essere per riuscire a contenere tutti i nostri desideri. Qualche volta dobbiamo lasciarci evolvere fino a quando non riusciremo a far emergere ciò che vogliamo. Diciamo che qualunque sia la cosa che desideri, la vuoi abbastanza. Così tanto da distruggerti per riuscire a ottenerla. Che ne dici di darti una calmata? Forse il problema non è la motivazione, ma semplicemente il fatto che continui a cercare di far rotolare un masso su per una montagna che più spingi e più diventa alta.

Dentro di noi c’è qualcosa di magico che lavora in modi che non riusciamo a comprendere.

E che non riusciamo a manipolare. Le liste non servono a niente. Non ne abbiamo il controllo. Dobbiamo semplicemente lasciare che le cose facciano il loro corso, fare un momentaneo passo indietro, smettere di maltrattarci sino ad annullarci, e lasciare invece che gli ingranaggi girino, perché lo faranno. Un giorno o l’altro, questo momento avrà un senso. Abbi fede in questo. Concediti il permesso di averne fede.

Fonte